4 giugno 2001
PICCOLA RADIOGRAFIA DELL'UOMO OCCIDENTALE CONTEMPORANEO (card. Godfried Dannels)
LA CHIESA RITROVI L'UMILTÀ. ACCANTO AI POVERI (card. Theodore McCarrick)
MESSAGGIO FINALE DEL CONCISTORO
LE PRIGIONI DEL PAPA. IL CARD. LORSCHEIDER ACCUSA LA CURIA ROMANA
"CARI CARDINALI, ECCO COME DEVE CAMBIARE LA CHIESA"."NOI SIAMO CHIESA" PROPONE UN SINODO-OMBRA
DOC-1085. ROMA-ADISTA. Un'assemblea sotto silenzio. Così, forse, si potrebbe definire il "Concistoro straordinario" convocato da Giovanni Paolo II dal 21 al 24 maggio. Infatti, i circa 150 cardinali (sui 183 viventi) che si sono ritrovati in Vaticano hanno sì discusso di una ventina di problemi e, in particolare, della "collegialità episcopale", ma lo hanno fatto a porte chiuse, senza che praticamente nulla si sapesse ufficialmente dei singoli interventi e delle conclusioni generali del dibattito. Il direttore della sala-stampa vaticana, Joaquín Navarro-Valls, ha riferito un paio di volte ai giornalisti dell'andamento e del contenuto del dibattito, ma limitandosi a poche battute, e non dando mai il testo di nessun intervento. Mercoledì 23 e giovedì 24, Navarro addirittura non si è fatto vivo in sala-stampa, lasciando del tutto senza notizie i giornalisti. Lui (o la Segreteria di Stato) hanno anche deciso che nessun cardinale venisse a fare un briefing. Così, un Concistoro che lo stesso pontefice, domenica 20 maggio, nel discorso dell'Angelus, aveva definito molto importante, si è svolto in un clima di segretezza, senza che i giornalisti, e quindi l'opinione pubblica, potessero avere - come era loro diritto - quell'informazione obiettiva e completa che pure il Magistero papale raccomanda sempre ai mass-media. Degli altri. Questo silenzio-stampa attuato dalle autorità vaticane è stato giudicato da molti giornalisti scandaloso. Ma, almeno in Italia, quasi nessuno di questi stessi giornalisti ha illustrato ai propri lettori lo stato dell'informazione vaticana. Ha protestato invece, con una la lettera aperta a Navarro-Valls, il giornalista statunitense Robert Blair Kaiser, di "Newsweek". Ne pubblichiamo il testo nelle pagine seguenti.
Parole "fuori campo"
In tale situazione di emergenza informativa, prendiamo dalle scarne informazioni date da Navarro alcune spigolature. Il card. Cormac Murphy-O'Connor, arcivescovo di Westminster, ha chiesto che si tenti la convocazione di una "assemblea pancristiana". Quest'idea era già stata lanciata da papa Wojtyla, in previsione del Giubileo 2000 (sui risultati "straordinari" dell'Anno Santo hanno riferito in Concistoro i cardinali Roger Etchegaray e Crescenzio Sepe, rispettivamente presidente e segretario generale del Comitato centrale del Giubileo). Ma l'anno scorso essa non si è potuta celebrare. Una delle ragioni - dimenticate nella "ricostruzione" vaticana dei fatti - è stata che molte Chiese non cattoliche erano in disaccordo con un Giubileo che ha cercato di accentrare nella Chiesa romana la celebrazione del bimillenario della nascita di Gesù.
Secondo il quotidiano londinese "The Times" (24 maggio) il cardinale inglese ha inserito la sua proposta in un ampio contesto che Navarro non ha fatto per nulla intravedere. Murphy-O'Connor, infatti, avrebbe anche chiesto un profondo ripensamento del ruolo papale, ricordando che la Chiesa primitiva era retta dai dodici apostoli e non dal solo Pietro. Lo stesso giornale aggiunge che le idee di Murphy-O'Connor "sono state sostenute, nel Concistoro, da altri cardinali 'liberal', come l'arcivescovo di Milano, Carlo Maria Martini, quello di Bruxelles, Godfried Danneels, e dal tedesco Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani".
Il card. Martini - tornando a quanto riferito da Navarro - ha proposto un Sinodo in cui si discuta del ruolo della Parola di Dio nella vita della Chiesa. E Kasper ha detto che la riconciliazione dei cristiani divisi è la grande sfida delle Chiese nel secolo XXI.
Secondo il quotidiano francese "Le Monde" (25 maggio), quello del dialogo interreligioso, è stato uno dei temi più trattati. I cardinali "non hanno messo in causa direttamente la lettera di Ratzinger Dominus Iesus, che aveva suscitato critiche tanto all'esterno che all'interno della Chiesa cattolica per un tono da Roma preconciliare. Ma molti di essi hanno considerato - riferisce il quotidiano - che è il maggiore paradosso, per l'avvenire, dover dialogare con le confessioni non cristiane e continuare ad annunciare il Vangelo".
Fra le cose riferite da Navarro c'è la proposta del cardinale colombiano Alfonso López Trujillo, presidente del Pontificio Consiglio per la famiglia, della redazione di un "Lexikon" in materia familiare e sessuale, che riporti tutte le nuove parole ed i nuovi concetti tecnici oggi in uso nei convegni internazionali sulla problematica, affinché pastori e fedeli sappiano orientarsi. Con questi scampoli di proposte, filtrate da Navarro, e altri sussurrati in camera caritatis ai giornlisti, sarebbe naturalmente impossibile farsi una idea del dibattito, in particolare sulla collegialità e sui rapporti papato-episcopato, Curia romana-Conferenze episcopali. Un aiuto indiretto, ma forte, per capire di che cosa realmente i cardinali hanno discusso (introduzioni di Etchegaray e di Sepe sul Giubileo; dell'arcivescovo di Parigi, card. Jean-Marie Lustiger, sui lavori del Concistoro; "circoli minori" e conclusioni generali - non date ai giornalisti - raccolte dall'arcivescovo messicano di Guadalajara, card. Juan Sandoval Íñiguez) ci viene da quanto alcuni porporati hanno detto o scritto pubblicamente alla vigilia o durante il Concistoro. Riportiamo, in merito, in una nostra traduzione, le dichiarazioni del cardinale brasiliano Aloisio Lorscheider, arcivescovo di Aparecida, al quotidiano cattolico francese "La Croix" (21 maggio); l'intervista rilasciata a "la Repubblica" (25 maggio) dal card. Policarpo, di Lisbona e quella dell'austriaco card. Schönborn rilasciata ad "Avvenire" (25 maggio). Saranno preceduti dal testo dell'intervento che il card. Danneels ha tenuto nel Concistoro - è stato lo stesso porporato, con indiretto gesto di protesta contro la censura vaticana, a dare il suo testo ai giornalisti, in occasione di una pubblica conferenza a Roma, mercoledì 23 maggio -; dall'intervento del card. McCarrick, di Washington, che mette in allarme riguardo alla globalizzazione e chiama la Chiesa alla testimonianza e alla povertà; dal testo del messaggio diffuso a conclusione dei lavori del concistoro; e dal discorso-omelia di Giovanni Paolo II. Anche il Papa non ha detto quasi nulla del dibattito svoltosi fra i cardinali.
card. Godfried Dannels
I problemi con cui la Chiesa dei nostri giorni si deve confrontare sono molteplici. Ne ho scelti tre, rendendomi conto e scusandomi del fatto che questa scelta è senza dubbio parziale e di parte. Sono tributario della situazione propria delle Chiese occidentali del Nord Europa, così fortemente esposte all'erosione della secolarizzazione. Ma tuttavia tento una piccola radiografia dell'uomo occidentale contemporaneo.
1) Un uomo invaghito di riti e ritualità, ma allergico ai sacramenti cristiani: la debole percezione della realtà sacramentale
Le Chiese occidentali di vecchia cristianità passano attraverso una profonda crisi della percezione della sacramentalità. L'uomo occidentale ha una macchia nera sulla retina. E nel servizio pastorale i preti sono tentati di ripiegare di preferenza sul ministero della Parola e su quello della diaconia. Con l'aggravarsi della rarefazione dei preti, i sacramenti rischiano di non essere più i centri di gravità della pastorale cattolica. Infatti se l'uomo contemporaneo comprende ancora la potenza della Parola e la pertinenza del servizio di diaconato nella Chiesa, comprende molto meno la realtà del mondo sacramentale. La liturgia rischia di essere largamente assorbita in una logorrea della parola o di essere un semplice ricaricare le batterie in vista della diaconia e del sociale. La Chiesa sembra divenire il luogo dove si parla e dove ci si mette al servizio del mondo. Perché celebrare ancora? Il sacramento si sposta dal centro verso la periferia della vita nella Chiesa. Si tratta forse di una "protestantizzazione" lenta e inconscia della Chiesa dall'interno? Questo potrebbe avere gravi conseguenze per l'esatta percezione della vera natura della Chiesa, del ministero ordinato e dei sacramenti e distruggere persino una giusta concezione cattolica della predicazione, che non è prima di tutto una retorica del marketing; e conseguenze per la diaconia che non è altro che semplice filantropia.
Le cause? Sono senza dubbio molteplici e varie. In ogni caso, non si tratta della perdita di senso simbolico o di gusto per i riti, come è stato detto qualche volta. Perché mai, come nella nostra epoca, si è avuta una tale infatuazione per i riti: prosperano come la vegetazione lussureggiante di una foresta tropicale. Si inventano e si commercializzano riti profani, cosmogonici o della religione naturale, per tutti i grandi passaggi della vita umana: nascita, pubertà, matrimonio e morte. Siamo dunque tornati ai tempi dei druidi celtici o delle religioni misteriche? Ciò che è in causa è la sovradeterminazione storica e cristologica dei riti sacramentali cristiani, che precisamente distinguono i sacramenti della Chiesa dai riti universalmente umani. Del resto i riti della religione naturale si incentrano su tre problemi dell'uomo (senza poterli risolvere): la sua finitezza, la morte e il peccato. Non possono promettere che illusioni terapeutiche e un'autosalvezza dell'uomo che interferiscono con l'economia della conversione del cuore.
Annunciamo dunque la Parola, pratichiamo la diaconia. Ma vegliamo sul tesoro più prezioso della Chiesa cattolica: la sua liturgia e i suoi sacramenti. La Costituzione sulla liturgia del Vaticano II - Sacrosantum Concilium - non afferma che, se è esatto che la liturgia è lontana dallo sposare ogni attività della Chiesa, è la sorgente da cui tutto discende e la fine verso cui converge tutto quello che essa intraprende per la salvezza degli uomini?
2) Un uomo invaghito di partecipazione e sofferente l'autorità: il bisogno di partecipazione
Il tema della collegialità nella Chiesa è, che lo si voglia o no, nell'opinione pubblica ecclesiale e nei media in cima all'agenda. È inoltre un tema eminentemente conciliare. Il mondo si allarga e si diversifica sempre più. Ma vuole sempre più anche essere uno. Ecco allora un'enorme sfida per la Chiesa nel futuro: restare fermamente una, ma generosamente diversificata ed inculturata. Ecco anche tutto il paradosso della Chiesa: la relazione tra Pietro e gli undici, tra il primato petrino e la collegialità dei vescovi. Questo paradosso è congenito. E attraversa i millenni. Per il terzo millennio questo problema della collegialità sarà senza dubbio una delle grandi sfide. La Chiesa non sarà mai al riparo dalle tensioni su questo punto. Alcuni sognano di risolvere il problema esaltando uno dei due poli a detrimento dell'altro: ipotizzando il primato di Pietro a detrimento del collegio episcopale; altri riducendo il ruolo di Pietro in favore di quello dei vescovi. La soluzione non può essere quella di danzare su un piede solo, ma con il rafforzamento di entrambi: il primato e la collegialità. Un mondo in espansione nelle sue differenze e alla ricerca di unità ha bisogno di un Pietro forte e di un forte collegio episcopale.
Non abbiamo ancora lo strumento perfettamente adatto per realizzare questo equilibrio: i nostri mezzi per mettere in opera la collegialità non sono messi a punto. Bisogna trovare una configurazione e un'articolazione più precisa ed efficace fra quattro componenti: la Curia romana, le Conferenze dei vescovi, i Sinodi e il Concistoro dei cardinali.
Quello che alcuni cardinali hanno proposto circa una decentralizzazione verso le Chiese locali della procedura per la nomina dei vescovi e l'amministrazione della giustizia nella Chiesa, come anche riguardo alle relazioni tra la Curia e le Conferenze episcopali, merita un serio e benevolo esame, anche se, senza dubbio, non è tutto immediatamente realizzabile.
Il Sinodo dei vescovi è, indubbiamente, lo strumento privilegiato di questa collegialità. Ma il suo funzionamento deve essere messo a punto. Così com'è adesso non consente una vera cultura del dibattito nel collegio episcopale attorno a Pietro. Le due prime settimane offrono un interessante "carta geografica" del problema, come ha detto una volta Giovanni Paolo II. La terza settimana - quella dei circuli minores - è troppo corta, mal diretta e non permette un vero confronto di idee. I rapporti resi in assemblea plenaria, poi, sono francamente deludenti. E la quarta settimana è quella del lavoro di notte per arrivare appena a qualche "proposizione". Fortunatamente c'è il santo Padre che mette tutto in salvo con le sue Esortazioni postsinodali.
Bisogna promuovere un'autentica cultura del dibattito nella Chiesa. È vero che gli stessi padri sinodali potrebbero essere più franchi e più pertinenti nei loro interventi. Non è tutta colpa dell'ordo procedendi. "C'è un tempo per ogni cosa", dice l'Ecclesiaste. Voglio dire: un tempo per le omelie e un tempo per gli interventi sinodali. Bisogna aver paura del dibattito nella Chiesa? Una cultura del dibattito nella Chiesa è benefica e anche indispensabile se tutti i padri sinodali mettono l'amore per la Chiesa al di sopra delle loro preferenze personali o di quelle del loro seguito, se hanno il coraggio di mettersi al riparo da eventuali influenze indotte dall'esterno, se vivono una fede profonda nel ministero petrino e nell'assistenza dello Spirito Santo. Perché non bisognerebbe dimenticare che un sinodo, prima di essere un evento che riguarda il management della Chiesa, è una celebrazione. C'è lo Spirito Santo.
3) Un uomo esitante davanti alla verità, impotente di fronte al bene, ma innamorato del bello
Per evangelizzare l'uomo moderno bisogna assolutamente che l'evangelizzatore sia solidamente radicato nella Scrittura e nella Tradizione. Ma bisogna innanzitutto che abbia un'affinità profonda con la cultura del suo tempo. Sarebbe grave se nella formazione dei nostri seminaristi e preti, ma anche dei nostri laici, ci chiudessimo, per una reazione da brivido, in un curriculum di formazione "in vitro". Bisogna assolutamente che siano sensibilizzati alle immense ricchezze della cultura contemporanea: delle scienze e delle tecniche, della vita del pensiero e delle sue correnti, della letteratura, delle arti, del teatro, di tutta la vita appassionante del mondo di oggi. I nostri preti e laici impegnati hanno senza dubbio bisogno di un solido scheletro: conoscenze bibliche, dogmatiche e morali salde che resistono alle tempeste d'autunno di una civiltà che sta invecchiando e che minaccia l'osteoporosi. Ma hanno nondimeno bisogno di nervi sensibili alle variazioni della temperatura del loro ambiente culturale: nervi a fior di pelle.
In quest'ordine di idee, mi pongo la domanda se noi utilizziamo a sufficienza quella porta che conduce a Dio e che si chiama bellezza. Dio infatti è Verità, Salvezza e perfezione morale, ma anche Bellezza. Si può trovare Dio per la porta del Vero, perché il vero attira l'uomo. Ma molti dei nostri contemporanei sono dei piccoli Pilati che dicono "Quid est veritas?". E restano davanti alla porta senza entrare. Anche Dio come Perfezione morale e Santità attira l'uomo. Ma molti diranno: la perfezione morale mi attira, ma non ne sono capace. E resistono davanti alla porta, segnati dalle loro debolezze morali. Ma il bello disarma: è irresistibile per i nostri contemporanei. I giovani studenti possono discutere e interrogarsi lungo tutto il corso sulle questioni del dogma (il vero) e della Morale (il bene). Ma, uscendo dalla Passione secondo Matteo di Johan Sebastian Bach sono disarmati e se ne stanno in silenzio. Ora, la Chiesa ha tante belle cose da dire e da mostrare al mondo. Non solo per il suo patrimonio artistico, ma anche per tanti santi che hanno brillato nel campo della bellezza. Per non citarne che due: Francesco d'Assisi e il suo Cantico del Sole e san Giovanni della Croce e i suoi poemi. È molto più che estetica, E per quelli che dubitano ancora, permettetemi di dire che il bello è strettamente correlato al vero: Pulchrum est splendor veri. E il bello è strettamente correlato al bene. I greci usavano una sola parola: kaloskagathos. Il bello può fare la sintesi del vero e del bene. Verum, bonum, pulchrum, ecco tre Nomi di Dio e tre strade di accesso a Lui. Ma finora il bello è stato molto poco sfruttato in teologia o in pedagogia religiosa. Non è il tempo di cominciare?
card. Theodore McCarrik
Santo Padre, cari Padri e Fratelli,
Nel corso del suo coraggioso ministero, il Santo Padre ha detto molte cose forti alla Chiesa e al mondo. Credo davvero che una delle sue affermazioni più potenti sia contenuta nel paragrafo 49 della Lettera apostolica Novo millennio ineunte. Subito dopo aver citato il testo del Vangelo da Matteo 25 sull'assistenza agli affamati, agli ignudi, ai prigionieri e così via, il Santo Padre scrive: "Il testo del Vangelo non è un semplice invito alla carità: è una pagina di cristologia che getta un raggio di luce sul mistero di Cristo. Con queste parole, accanto all'ortodossia della sua dottrina, la Chiesa misura la sua fedeltà come sposa di Cristo" Per me e per molti altri questo insegnamento è una chiave che apre il futuro della buona novella del Vangelo come la proclamiamo ai fedeli di oggi. Le parole del Santo Padre sono una sfida per noi, ma anche una ratifica, perché toccano qualsiasi cosa noi consideriamo Chiesa. Non possiamo essere fedeli a Cristo se non ci occupiamo dei poveri. Non possiamo annunciare il Vangelo se non vediamo nel Vangelo, nella buona novella della nostra salvezza, quei due elementi che il Santo Padre lega insieme in modo così incredibile e chiaro. È nella nostra fedeltà all'insegnamento del Signore e nella nostra volontà di mettere in pratica quell'insegnamento nella cura dei poveri e dei bisognosi, dei piccoli e degli affamati, che la descrizione ultima di ciò che noi siamo viene fatta e intesa.
Nel nuovo contesto della globalizzazione che si sta sviluppando nella nostra società, questo duplice test di fedeltà raggiunge la sua massima importanza. La globalizzazione può essere descritta in tanti modi. Dalla descrizione dipende il giudizio sul suo valore o sul suo pericolo. Se la globalizzazione fondamentalmente significa rendere più accessibili i progressi scientifici, medici, economici e sociologici della nostra società ad ogni nazione e ad ogni individuo, allora rappresenta una benedizione e qualcosa che va portata avanti. Tuttavia, rimane il problema che la globalizzazione potrebbe a lungo termine portare tutti questi progressi e ciò che li accompagna solo ad una minoranza, solo ai ricchi, solo alle nazioni che sono ampiamente sviluppate, solo a coloro che possono comprare e usare queste nuove conquiste. Se questa è la sua definizione, la globalizzazione aumenterà drasticamente il baratro tra ricchi e poveri. Dividerà il mondo come non è mai stato diviso prima, e coloro che sono poveri si moltiplicheranno, e coloro che non sono in grado di partecipare aumenteranno nel numero in modo terrificante.
Il ruolo della Chiesa, in tale contesto, richiede norme pastorali pratiche e passi con i quali proclamare la buona novella della salvezza in modo da servire la dignità di ogni individuo e creare un mondo migliore. La Chiesa deve anelare il mondo a venire, ma deve vivere nel mondo che è qui, e perciò dobbiamo sforzarci di realizzare la globalizzazione in modo che proclami il Vangelo, in modo che raggiunga e serva i poveri.
Sappiamo che la carità comincia a casa; sappiamo che non finisce qui. Sappiamo che questa chiamata alla carità ci sfida alla stessa fedeltà della quale il Santo Padre parla nella Novo millennio ineunte. In tutta la Chiesa questa è stata parte della nostra lotta e parte della nostra vita. Il lavoro della Caritas e delle agenzie cattoliche in tutto il mondo, gli straordinari contributi delle agenzie cattoliche d'oltreoceano come i nostri servizi di assistenza cattolici, i tentativi di alleviare il pesante debito dei Paesi sottosviluppati, l'urgente bisogno di proteggere l'ambiente in modo che le generazioni future abbiano da mangiare a sufficienza, aria pulita, acqua pulita e un mondo che le possa sostenere, la protezione della vita umana dal momento del concepimento al momento in cui Dio ci chiama a casa: tutto questo è parte dell'impegno che noi dobbiamo assumerci come Chiesa per raggiungere i poveri, per raggiungere i bisognosi, per raggiungere quelli che non hanno nulla. Certo alcune nazioni sono ricche e potenti abbastanza per portare gran parte di questo peso. La Chiesa, nelle nazioni come la mia, deve costantemente promuovere e proclamare il messaggio e coraggiosamente, onestamente e coerentemente difendere i poveri.
Ma dobbiamo farlo con umiltà. La Chiesa quando si sforza di servire i poveri deve farlo umilmente, deve farlo a partire dalla propria povertà, deve farlo in modo da imitare l'Uno che era mite e umile di cuore. Dobbiamo trovare il modo di realizzare la globalizzazione con coscienza per costruire il futuro sulla dignità di ogni persona umana, per trovare in quel fondamento la speranza del mondo.
1. Al termine del Concistoro, noi Cardinali venuti da tutte le parti del mondo, riconfermiamo la nostra profonda comunione di fede e di amore con il Santo Padre, Successore di Pietro.
A lui va la nostra cordiale gratitudine perché, come già ci aveva convocato in Concistoro per la preparazione al Grande Giubileo del 2000, così ora in questo nuovo Concistoro ci ha chiamati a riflettere sull'attuazione spirituale e pastorale della grazia giubilare, approfondendo le linee programmatiche presenti nella preziosa Lettera Apostolica Novo Millennio Ineunte.
2. Con tutta la Chiesa rendiamo grazie al Signore, datore d'ogni dono, per il fiume di grazie che con l'Anno Santo si è riversato sul popolo di Dio e sull'umanità intera.
3. Siamo convinti che la grande eredità che il Giubileo ci offre come dono e responsabilità è quella di rinnovare, con intima convinzione e con crescente fiducia, la nostra confessione di fede in Gesù Cristo, Figlio di Dio fatto uomo, crocifisso e risorto, unico e universale Salvatore del mondo.
Per questo accogliamo con gioia e riproponiamo a tutti la consegna di continuare a tenere fisso lo sguardo su Cristo e contemplare il suo volto attraverso la familiarità con la Parola di Dio, la preghiera assidua e la comunione personale con Lui, la partecipazione all'Eucaristia soprattutto nel Giorno del Signore, l'accoglienza della misericordia del Padre nel sacramento della Riconciliazione, in un coraggioso impegno verso la santità, senso e destino di ogni uomo e sorgente e forza dell'agire pastorale della Chiesa. Così l'esperienza giubilare potrà animare e orientare la vita dei credenti accogliendo l'assoluto primato della grazia.
4. La contemplazione orante di Cristo, mentre conduce alla comunione d'amore con Lui, alimenta la missione evangelizzatrice della Chiesa. Di fronte al grande bisogno che ogni uomo ha di Cristo ci sentiamo con urgenza chiamati non solo a "parlare" di Lui, ma anche a farlo "vedere": con l'annuncio della Parola che salva e con l'audace testimonianza di fede, in un rinnovato slancio missionario.
5. Condizione, forza e frutto della missione evangelizzatrice è la comunione, l'unità dei discepoli, per la quale Cristo ha pregato. In un mondo pesantemente segnato da lacerazioni e conflitti e in una Chiesa che porta le ferite delle divisioni sentiamo più forte il dovere di coltivare la spiritualità della comunione: sia all'interno delle comunità cristiane, sia nel proseguire con carità, verità e fiducia il cammino ecumenico e il dialogo interreligioso, seguendo l'esemplare impulso che ci viene dal Santo Padre.
6. La comunione spinge la Chiesa a farsi solidale con l'umanità, particolarmente nell'attuale contesto della globalizzazione con la folla crescente dei poveri, dei sofferenti, di quanti sono calpestati nei sacrosanti diritti alla vita, alla salute, al lavoro, alla cultura, alla partecipazione sociale, alla libertà religiosa.
Verso i popoli che soffrono a causa di tensioni e di guerre rinnoviamo il nostro impegno ad operare per la giustizia, la solidarietà e la pace. Il nostro pensiero va particolarmente verso l'Africa, ove numerose popolazioni sono provate da conflitti etnici, da una persistente povertà e da gravi malattie. All'Africa vada la solidarietà di tutta la Chiesa.
Un accorato appello, unitamente al Santo Padre, rivolgiamo a tutti i cristiani perché intensifichino la loro preghiera per la pace nella Terra Santa e chiediamo ai responsabili delle Nazioni di aiutare israeliani e palestinesi a vivere pacificamente insieme. Nella Terra di Gesù la situazione ultimamente si è aggravata e troppo sangue è già stato versato. In unione con il Santo Padre, supplichiamo le parti in causa di giungere subito ad un "cessate il fuoco" e a riprendere il dialogo su un piano di parità e mutuo rispetto.
7. Di fronte alle numerose, gravi e nuove sfide che la Chiesa incontra nell'attuale svolta epocale, l'esperienza di fede vissuta con il Giubileo ci sprona a non avere paura, ma a prendere il largo, ponendo la nostra speranza in Cristo e confidando nella materna intercessione di Maria Santissima.
Mentre accompagniamo con la preghiera il Santo Padre nel suo prossimo pellegrinaggio in Ucraina, desideriamo confermare la nostra fraterna comunione con tutte le Chiese d'Oriente.
Città del Vaticano, 24 maggio 2001, Solennità dell'Ascensione del Signore
Signori Cardinali, venerati Fratelli nell'Episcopato, carissimi Fratelli e Sorelle!
1. Siamo raccolti intorno all'altare del Signore per celebrare la sua ascensione al Cielo. Abbiamo udito le sue parole: "Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni... fino agli estremi confini della terra" (At 1,8). Da duemila anni queste parole del Signore risorto spingono la Chiesa "al largo" della storia, la rendono contemporanea di tutte le generazioni, ne fanno il fermento di tutte le culture del mondo.
Le riascoltiamo oggi per accogliere con rinnovato fervore l'imperativo "duc in altum! - prendi il largo!" - rivolto un giorno da Gesù a Pietro: un imperativo che ho voluto far riecheggiare in tutta la Chiesa nella Lettera apostolica Novo millennio ineunte, e che alla luce dell'odierna solennità liturgica assume un significato ancor più profondo. L'altum verso cui la Chiesa deve andare, non è soltanto un più forte impegno missionario, ma prima ancora un più intenso impegno contemplativo. Siamo invitati anche noi, come gli apostoli testimoni dell'Ascensione, a fissare lo sguardo sul volto di Cristo, assunto nello splendore della gloria divina.
Certo, contemplare il cielo non significa dimenticare la terra. Se facesse capolino questa tentazione, ci basterebbe riascoltare i "due uomini in bianche vesti" dell'odierna pagina evangelica: "Perché state a guardare il cielo?". La contemplazione cristiana non ci sottrae all'impegno storico. Il "cielo" in cui Gesù è stato assunto non è lontananza, ma svelamento e custodia di una presenza che mai ci abbandona, fino a quando Egli verrà nella gloria. Intanto è l'ora esigente della testimonianza, perché nel nome di Cristo "siano predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati" (cfr Lc 24,47).
2. È appunto per ravvivare questa consapevolezza, che ho voluto convocare il Concistoro straordinario che oggi si chiude. I Signori Cardinali di tutto il mondo, che saluto con fraterno affetto, si sono riuniti in questi giorni con me, per affrontare alcuni tra i temi più rilevanti dell'evangelizzazione e della testimonianza cristiana nel mondo d'oggi, all'inizio di un nuovo millennio. È stato per noi innanzitutto un momento di comunione, nel quale abbiamo sperimentato un po' di quella gioia che inondò l'animo degli apostoli, dopo che il Risorto, benedicendoli, si era staccato da loro per ascendere al cielo. Dice infatti Luca, che "dopo averlo adorato, tornarono a Gerusalemme con grande gioia, e stavano sempre nel tempio lodando Dio" (Lc 24,52-53).
La natura missionaria della Chiesa affonda le radici in questa icona delle origini. Ne porta i tratti. Ne ripropone lo spirito. Lo ripropone cominciando dall'esperienza della gioia, che il Signore Gesù ha promesso a quanti lo amano: "Vi ho detto queste cose affinché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia giunga alla pienezza" (Gv 15, 11). Se la nostra fede nel Signore risorto è viva, l'animo non può non essere colmo di gioia, e la missione si configura come un "traboccare" di gioia, che ci spinge a recare a tutti la "bella notizia" della salvezza con coraggio libero da paure e da complessi, fosse pure a costo del sacrificio stesso della vita.
La natura missionaria della Chiesa, che parte dal Cristo, trova sostegno nella collegialità episcopale ed è incoraggiata dal Successore di Pietro, il cui ministero mira a promuovere la comunione nella Chiesa, garantendo l'unità in Cristo di tutti i fedeli.
3. Fu proprio questa esperienza che fece di Paolo l'"apostolo delle genti", portandolo a percorrere gran parte del mondo allora conosciuto, sotto la spinta di una forza interiore, che lo obbligava a parlare di Cristo: "Vae mihi est si non evangelizavero - Guai a me se non predicassi il Vangelo!" (1 Cor 9, 16). Ho voluto anch'io, nel recente pellegrinaggio apostolico in Grecia, in Siria, a Malta, mettermi sulle sue orme, quasi completando, in questo modo, il mio pellegrinaggio giubilare. Ho sperimentato in esso la gioia di condividere con affettuosa ammirazione qualche aspetto della vita dei nostri amatissimi fratelli cattolici orientali e di vedere aprirsi nuove prospettive ecumeniche nei rapporti con i nostri non meno amati fratelli ortodossi: con l'aiuto di Dio sono stati fatti dei passi significativi verso la meta sospirata della piena comunione.
Bello è stato anche l'incontro con i musulmani. Come durante il tanto desiderato pellegrinaggio nella Terra del Signore, compiuto nel corso del Grande Giubileo, ho avuto occasione di mettere in rilievo i vincoli particolari della nostra fede con quella del popolo ebraico, così è stato molto intenso il momento di dialogo con i credenti dell'Islam. Il Concilio Vaticano II, infatti, ci ha insegnato che l'annuncio di Cristo, unico Salvatore, non ci impedisce, al contrario ci suggerisce, pensieri e gesti di pace verso i credenti appartenenti ad altre religioni (cfr Nostra aetate, 2).
4. Mi sarete testimoni! Queste parole di Gesù agli apostoli prima dell'Ascensione determinano bene il senso dell'evangelizzazione di sempre, ma in modo particolare suonano attuali nel nostro tempo. Quello che viviamo è un tempo in cui sovrabbonda la parola, moltiplicata all'inverosimile dai mezzi di comunicazione sociale, che tanto potere hanno sull'opinione pubblica sia nel bene che nel male. Ma la parola di cui abbiamo bisogno è quella ricca di sapienza e di santità. Per questo nella Novo millennio ineunte ho scritto che "la prospettiva in cui deve porsi tutto il cammino pastorale è quello della santità" (n. 30), coltivata nell'ascolto della Parola di Dio, nella preghiera e nella vita eucaristica, specialmente in occasione della celebrazione settimanale del "Dies Domini". Solo grazie alla testimonianza di cristiani veramente impegnati a vivere radicalmente il Vangelo, il messaggio di Cristo può far breccia nel nostro mondo.
La Chiesa si trova oggi ad affrontare sfide enormi, che mettono alla prova la fiducia e l'entusiasmo degli annunciatori. E non si tratta solo di problemi "quantitativi", dovuti al fatto che i cristiani rappresentano una minoranza, mentre il processo di secolarizzazione continua a erodere la tradizione cristiana anche di Paesi di antica evangelizzazione. Problemi ancor più gravi derivano da un cambiamento generale dell'orizzonte culturale, dominato dal primato delle scienze sperimentali ispirate ai criteri dell'epistemologia scientifica. Anche quando si mostra sensibile alla dimensione religiosa e sembra anzi riscoprirla, il mondo moderno accetta al massimo l'immagine di Dio creatore, mentre trova difficile accogliere - come capitò agli uditori di Paolo all'areopago di Atene (cfr At 17, 32-34) - lo "scandalum crucis" (cfr 1 Cor 23), lo "scandalo" di un Dio che per amore entra nella nostra storia e si fa uomo, morendo e risorgendo per noi. È facile intuire la sfida che questo comporta per le scuole e le Università cattoliche, come pure per i centri di formazione filosofica e teologica dei candidati al sacerdozio, luoghi tutti nei quali occorre offrire una preparazione culturale che sia all'altezza del momento culturale presente.
Problemi ulteriori derivano dal fenomeno della globalizzazione, che se offre il vantaggio di avvicinare i popoli e le culture, rendendo più accessibili a ciascuno innumerevoli messaggi, non facilita tuttavia il discernimento e una sintesi matura, favorendo un atteggiamento relativistico che rende più difficile accettare Cristo come "via, verità e vita" (Gv 14, 6) per ogni uomo.
E che dire poi di quanto va emergendo nell'ambito degli interrogativi morali? Mai come oggi, soprattutto sul piano dei grandi temi della bioetica, oltre che su quelli della giustizia sociale, dell'istituzione familiare, della vita coniugale, l'umanità è interpellata da problemi formidabili, che mettono in questione il suo stesso destino.
Il Concistoro ha riflettuto ampiamente su alcuni di questi problemi, sviluppando analisi approfondite e proponendo meditate soluzioni. Diverse questioni saranno riprese nel prossimo Sinodo dei Vescovi, che si è dimostrato valido ed efficace strumento della collegialità episcopale, al servizio delle Chiese locali. Vi sono grato, venerati Fratelli Cardinali, per i preziosi contributi da voi ora offerti: da essi intendo trarre opportune indicazioni operative, perché l'azione pastorale ed evangelizzatrice in tutta la Chiesa cresca nella tensione missionaria, con piena consapevolezza delle odierne sfide.
5. Il mistero dell'Ascensione ci spalanca oggi dinanzi l'orizzonte ideale in cui questo impegno deve collocarsi. È innanzitutto l'orizzonte della vittoria di Cristo sulla morte e sul peccato. Egli ascende al cielo come re di amore e di pace, sorgente di salvezza per l'intera umanità. Ascende per "presentarsi al cospetto di Dio in nostro favore", come abbiamo ascoltato dalla lettera agli Ebrei (9,24). È un invito alla fiducia quello che ci viene dalla parola di Dio: "è fedele colui che ha promesso" (Eb 10,23).
Ci dà forza inoltre lo Spirito, che Cristo ha effuso senza misura. Lo Spirito è il segreto della Chiesa di oggi, come lo è stato per la Chiesa della prima ora. Saremmo condannati al fallimento, se non continuasse ad essere efficace in noi la promessa fatta da Gesù ai primi apostoli: "Io manderò su di voi quello che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall'alto" (Lc 24,49). Lo Spirito, Cristo, il Padre: tutta la Trinità è impegnata con noi!
Sì, miei cari Fratelli e Sorelle! Non saremo soli a percorrere il cammino che ci attende. Ci accompagnano i sacerdoti, i religiosi ed i laici, giovani e adulti, seriamente impegnati per dare alla Chiesa, sull'esempio di Gesù, un volto di povertà e di misericordia specialmente verso i bisognosi e gli emarginati, un volto che splenda per la testimonianza della comunione nella verità e nell'amore. Non saremo soli, soprattutto perché con noi ci sarà la Trinità Santissima. Gli impegni che ho affidato come consegna a tutta la Chiesa nella Novo millennio ineunte, i problemi sui quali il Concistoro ha riflettuto, non li affronteremo con forze soltanto umane, ma con la potenza che viene "dall'alto". È questa la certezza che trova continuo alimento nella contemplazione di Cristo asceso al cielo. Guardando a Lui, accogliamo volentieri il monito della Lettera agli Ebrei, a mantenere "senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è fedele colui che ha promesso" (10,23). Il nostro rinnovato impegno si fa canto di lode, mentre con le parole del Salmo additiamo a tutti i popoli del mondo Cristo risorto e asceso al cielo: "Applaudite, popoli tutti, acclamate Dio con voci di gioia... Dio è re di tutta la terra" (Sal 46/47,1.8). Con rinnovata fiducia, dunque, "prendiamo il largo" nel suo nome!
DOC-1086. ROMA-ADISTA. Liberare il pontefice dal centralismo romano, valorizzare la missione dei vescovi realizzando finalmente quella collegialità auspicata dal Concilio Vaticano II "ben lontana dall'essere realtà", sono gli obiettivi primari che la Chiesa cattolica dovrebbe realizzare secondo il card. Aloisio Lorscheider, arcivescovo di Aparecida in Brasile, a Roma per partecipare al Concistoro.
In un'intervista rilasciata al quotidiano cattolico francese "La Croix" (21/5), Lorscheider parla apertamente di "certo centralismo nella Chiesa" che "attualmente sembra non tener conto delle decisioni conciliari", di un "papa prigioniero dei circoli che lo attorniano e che lo dividono dalla base". Parole che hanno scatenato la reazione polemica del cardinale messicano Adolfo Suárez Rivera, arcivescovo di Montere'. In un'intervista all'agenzia France Presse, Rivera ha criticato Lorscheider sostenendo che il papa "ha la mente lucidissima e non è prigioniero della Curia romana". Giovanni Paolo II, dichiara il cardinale messicano, "ha scelto personalmente i suoi collaboratori ed è molto cosciente di tutto, per cui non si può dire che è 'prigioniero' della Curia".
Di seguito l'intervista rilasciata dal card. Lorscheider.
GIOVANNI PAOLO II VITTIMA DEL CENTRALISMO ROMANO
François Vayne intervista il card. Aloisio Lorscheider, "La Croix", 21 maggio 2001
LA CROIX:
Cosa si attende dall'eccezionale incontro che vede riuniti i cardinali attorno
al papa?
Card. Lorscheider:
Giovanni Paolo II ci convoca e desidera sapere cosa proponiamo per meglio annunciare
il Vangelo all'inizio di questo millennio. Io e molti altri cardinali, durante
il Concistoro straordinario, gli risponderemo francamente. Attualmente, un certo
centralismo nella Chiesa sembra non tener conto delle decisioni conciliari:
la collegialità desiderata dal Vaticano II è ben lontana dall'essere
una realtà. In questo senso, bisogna rivalutare l'episcopato.
Questo Concistoro non rischia di trasformarsi in grandi manovre in vista
del prossimo conclave?
Ho partecipato a due conclavi e non sono più tanto giovane. Sono
vescovo dal 1962. Per esperienza posso dire che nel piccolo gioco dei "papabili"
i manovratori sono sempre perdenti. Quanti vorrebbero utilizzare questo Concistoro
per portare avanti un candidato e preservarsi interessi di carriera percorrono
una falsa strada, perché lo Spirito Santo - nella cui azione noi crediamo
- riserva sempre sorprese durante un conclave.
Giovanni Paolo II è, secondo lei, vittima di un certo centralismo
romano?
Il papa è prigioniero dei circoli che lo attorniano e che lo dividono
dalla base. Giovanni Paolo II ha fatto molti sforzi per cambiare le cose, ma
non credo che ci sia riuscito. Ha aperto la strada, ma toccherà al suo
successore liberarsi di una certa organizzazione troppo ecclesiastica e non
abbastanza ecclesiale. Vogliamo contribuire urgentemente a questa opera di liberazione.
Quale decisione suggerisce per valorizzare la missione del vescovo?
Bisognerebbe smettere di ridurre l'episcopato a titolo onorifico distribuendo
nomine di convenienza personale. Il vescovo è padre, maestro e pastore,
ma, ecco, oggi troppi vescovi sono padri senza bambini, maestri senza allievi
e pastori senza popolo. Credo per di più che i vescovi ausiliari non
abbiano ragione di essere, i vicari episcopali sono più che sufficienti.
Ma sono temi che affronteremo piuttosto durante il Sinodo speciale dei vescovi
in ottobre. Questa settimana, a Roma, chiederò soprattutto che l'organizzazione
centrale della Santa Sede si disponga ad un maggiore ascolto dei vescovi, per
un migliore servizio al Popolo di Dio. Le decisioni del Vaticano II non sono
applicate e soffriamo tutti, sul campo, per una burocrazia lontana e sempre
più sorda.
"SINODO PERMANENTE ACCANTO AL PONTEFICE"
Marco Politi, intervista al card. Josè da Cruz
Policarpo, in "la Repubblica", 25 maggio 2001
Nell'anno
Duemila, a Fatima, Dom Josè da Cruz Policarpo, patriarca di Lisbona,
è stato accanto a Wojtyla, mentre faceva i conti con il secolo XX. Ora,
con il pontefice e gli altri 154 cardinali, ha partecipato al concistoro convocato
per discutere le priorità del XXI. Eminenza, cosa lascia il concistoro?
"La convinzione
che l'evangelizzazione è testimonianza. La Chiesa deve dare testimonianza
radicale di santità, carità e povertà".
Nel dibattito è stato proposto un vertice pancristiano.
"Un'idea bellissima, forse un po' utopica, ma significativa. Il cardinale
O'Connor ha evocato un gran concilio di rappresentanti delle Chiese cristiane,
da tenersi magari a Gerusalemme".
Ad ogni modo l'idea è di proseguire sulla strada dell'ecumenismo e
del dialogo interreligioso?
"Il concistoro chiede al Papa e a tutti i vescovi di non frenare, di andare
avanti. Il dialogo interreligioso è un'altra questione. Si tratta di
proseguire senza mettere in ombra la fede in Gesù Cristo e l'annuncio
del vangelo. Direi che il dialogo con le altre religioni non va visto come ricerca
di elementi comuni, ma come rispetto dell'autenticità della fede di ciascuno".
Il grande nodo è la collegialità, non è vero?
"Il punto debole di queste riunioni è la mancanza di programmazione,
i temi sono troppo aperti, c'è il pericolo di frammentazione del dibattito,
ognuno rischia di parlare per sé".
Perciò molti cardinali propongono di dare maggiori competenze all'unico
organo collegiale postconciliare, il Sinodo?
"Bisogna cambiare il metodo di lavoro del Sinodo, farne uno spazio di dibattito
reale. Molti chiedono un organo permanente, che non sia solo uno strumento di
ascolto per il ministero personale del Papa".
Cambiare come?
"Alcuni propongono che il Sinodo dei vescovi si riunisca più spesso,
altri chiedono che sia un organismo permanente".
Un consiglio della corona, che assiste il Papa?
"Un organismo che insieme al pontefice fa il bilancio e l'analisi dei grandi
problemi della Chiesa. Il cardinal Martini vi accennava in un'altra riunione.
Parlava di un organismo a metà strada fra l'attuale Sinodo dei vescovi
e il Concilio".
Così non si va a toccare la funzione del primato papale?
"In tutto la discussione di questi giorni c'è stato solo un intervento,
che si è richiamato all'enciclica Ut unum sint per porre la questione
del ripensamento del primato del Papa".
Che impressione di Chiesa ha avuto dagli interventi in concistoro?
"La sensazione di una Chiesa dinamica, unita intorno al Papa nella gioia
della testimonianza. Abbiamo riservato grande attenzione al mondo moderno, alla
globalizzazione che per la maggior parte dei popoli si risolve in una spersonalizzazione".
"L'ECUMENISMO HA BISOGNO DI PIETRO"
Mimmo Muolo, intervista al card. Christoph Schönborn,
in "Avvenire", 25 maggio 2001
Prima di rispondere alla domanda, il cardinale Christoph Schönborn alza
per qualche secondo lo sguardo verso il cielo. Un cielo di maggio insolitamente
plumbeo e piovoso per la città di Roma. E forse l'ispirazione gli viene,
a contrariis, proprio da questa atmosfera che un po' smorza il rosso della porpora
del giovane arcivescovo di Vienna. "No - dice con un sorriso luminoso - l'atmosfera
del Concistoro è stata di tutt'altro genere. E tornando nella mia diocesi,
spero di portare una ventata di aria fresca, di respiro, di gioia, perché
abbiamo tante ragioni per essere fiduciosi. Certo, con realismo, ma fiduciosi.
Per me questo concistoro è stato di grande conforto".
Al riparo dalla pioggia, sotto il colonnato del Bernini, il cardinale austriaco,
56 anni, domenicano e professore di teologia, si è appena sottoposto
a una specie di esercitazione linguistica, rispondendo in tedesco e in inglese
a un doppio gruppo di intervistatori. E naturalmente non si sottrae, neanche
all'"esame" di italiano.
Eminenza, su che cosa si basa la sua fiducia, al termine dei lavori del Concistoro
straordinario convocato dal Papa?
Qualcuno mi ha chiesto se ritenevo che dopo questo appuntamento il futuro
della Chiesa fosse più chiaro. Ho risposto che il futuro della Chiesa
è nelle mani del Signore, che ci guida con sicurezza e ci infonde coraggio.
E anche il Papa dimostra con il suo esempio e con le sue parole che non c'è
ragione di aver paura. Ci sono certamente molte ragioni per essere attenti,
e anche preoccupati delle situazioni, ma non di aver paura.
In che modo il Concistoro ha rafforzato questa convinzione?
Mi è molto piaciuto ciò che ha detto il cardinale Sepe riguardo
all'Anno Santo. Noi vescovi, forse, non sempre teniamo nel debito conto che
c'è un popolo cristiano che crede intensamente. L'Anno giubilare ha manifestato
questa intensità della vita cristiana e dà a noi pastori un po'
di coraggio, invitandoci nel contempo alla conversione. Molti aspettano che
venga spezzata la Parola di Dio, cioè il buon pane della fede. Sta a
noi, ora raccogliere l'invito.
Come?
Penso all'insistenza di molti cardinali sul tema della santità. È
stato questo il tema principale del nostro incontro, perché anche la
missionarietà dipende dalla vita cristiana e vita cristiana significa
unione con Dio, comunione con Cristo, dono di se stessi. Anzi, la missionarietà
è prima di tutto una vita che dà testimonianza.
Il Concistoro raccontato dai media, invece, sembra aver messo l'accento soprattutto
sul tema della collegialità.
Certo, si è parlato anche della collegialità, ma anzitutto
del ruolo del Papa. Io parto da questo Concistoro con una consapevolezza più
forte: è grande la grazia che Cristo ha fatto alla Chiesa con il ministero
di Pietro. Senza di lui, infatti, tutti gli sforzi delle Chiese locali sarebbero
isolati e sottoposti a pressioni politiche, sociali, economiche. Invece la Chiesa
universale, grazie al ministero di Pietro, dà forza alle Chiese locali.
Eppure, alcuni sembrano aver chiesto di rivedere il funzionamento di uno
strumento come il Sinodo
Sì, ma questo, secondo me, non ha nulla a che vedere con la collegialità.
Il tentativo di migliorare, dopo 30 anni, il funzionamento del Sinodo è
una questione di forma, non di sostanza. La sostanza è invece che viviamo
la collegialità in unione con il successore di Pietro e questo ci dà
coraggio e forza.
Collegialità e primato di Pietro richiamano anche un altro dei temi
base di questo Concistoro: l'ecumenismo. Che cosa è emerso di nuovo?
Dal concistoro emerge soprattutto una consapevolezza. E cioè che
l'ecumenismo ha bisogno di Pietro, di questo ministero del Papa, che ci permette
di avere, nel confronto con le altre confessioni cristiane, un preciso punto
di riferimento.
E il futuro del rapporto Chiesa mondo come viene illuminato da questo Concistoro?
Si è molto parlato della forza della fede per far emergere una cultura
alternativa a quella oggi dominante. E secondo me un ruolo decisivo potrebbe
averlo proprio la liturgia, forse l'opera più bella della cultura cristiana.
Perché è un mondo di bellezza, uno spazio di senso, di vicinanza
a Dio e tra gli uomini.
SE DISCUTONO DI "BUONA NOVELLA", PERCHÉ NASCONDERE?
IL GIORNALISTA DI "NEWSWEEK" PROTESTA CON NAVARRO-VALLS
Caro Dr. Valls,
Il 27 aprile lei ha tenuto una conferenza sui mass media al Collegio della Santa Croce dell'Opus Dei a Roma. Ha detto al suo pubblico (gran parte del quale era formato da responsabili dell'informazione diocesana) che la Chiesa dovrebbe cercare di usare i mass media, non solo "per diffondere il messaggio cristiano e l'autentico insegnamento della Chiesa" ma anche "per integrare quel messaggio nella "nuova cultura" creata dalle comunicazioni moderne" (Redemptoris Missio, 37). Lei ha tentato di descrivere quella 'nuova cultura'. Essa non vuole catechesi e non vuole teologia; vuole informazione. "Informazione", ha detto riassumendo, "è un diritto di ciascuno, il diritto ad essere informati". Belle parole, Joaquin, ma questa settimana a Roma la sua performance non ha mantenuto la promessa. "Bella parata. Ma lo spettacolo dov'è?". O, fuor di metafora, e in modo più brusco, lei conosce più a fondo ma non agisce più a fondo. Lei ha informazioni da darci sul Concistoro straordinario che si sta svolgendo questa settimana in Vaticano, ma non ce le dà.
Ecco le sue mancanze:
1. Nei briefing non ci ha detto chi ha detto cosa. È impossibile per un giornalista serio scrivere un articolo basato sulle sue "impressioni" di quanto ha detto un certo cardinale. Un giornalista di un grande quotidiano statunitense ha detto lunedì: "se scrivessi un articolo basandomi su un briefing di Navarro-Valls, verrei licenziato".
2. Non ha reso disponibili i testi completi degli interventi dei cardinali (e nemmeno ha diffuso riassunti fedeli). Le abbiamo detto lunedì che alcuni cardinali non parlano in base ad un testo preparato, ma solo a partire dai loro appunti. Tuttavia certamente alcuni interventi si basano su un testo preparato. Di sicuro avrebbe potuto passarli alla stampa. E non c'è nessuno che registra gli interventi o produce un resoconto stenografico? Sicuramente lei ha personale che può fare copie degli interventi nelle lingue originali e distribuirli alla stampa.
Non ha volontari che possano tradurre gli interventi in altre lingue? (Lei ha messo un intervento sul sito web del Vaticano, quello del cardinale Lustiger. Perché solo quello?).
Mi chiedo se lei voglia veramente una copertura giornalistica intelligente del Concistoro. Motivi:
- Lei non ci ha dato una lista di coloro che partecipano al concistoro.
- Lunedì ci ha detto chi aveva parlato. Martedì non ha fatto nemmeno questo.
- Non ci ha agevolato il contatto con i cardinali. Una lista dei loro nomi e indirizzi a Roma e i loro numeri di telefono e fax ci avrebbero aiutato a trovarne qualcuno.
- Lei ha persino impedito ai giornalisti di avvicinare i cardinali alla loro uscita dai lavori, con il divieto alla stampa di stare nel cortile fuori dall'auditorium Paolo VI. Le guardie svizzere hanno minacciato i giornalisti di togliere loro l'accredito se non avessero lasciato il cortile.
Non capisco perché il Concistoro stesso debba essere precluso alla stampa. (Molto di quanto ho suggerito sopra sarebbe superfluo se ai giornalisti fosse concesso di entrare nell'auditorium. Oppure, un'alternativa ancora più semplice: potreste mettere una televisione nella Sala Stampa, così i reporter potrebbero assistere allo svolgimento senza disturbare i cardinali nell'aula).
Un giornalista radiofonico di lunga esperienza ha detto, dopo il suo briefing di martedì, che "lei ovviamente aveva qualcosa da nascondere". Io vorrei pensare che non sia vero. Non immagino che i cardinali dicano al concistoro qualcosa che non vogliono che tutto il mondo senta. Se avessero saputo che la stampa li ascoltava, posso solo immaginare che avrebbero parlato con un linguaggio che la gente avrebbe potuto capire e, così, seguire i lavori. Credo che il Santo Padre abbia detto che voleva che i cardinali presentassero le loro idee per "una nuova evangelizzazione", cosa che significa trovare nuovi modi per portare alla gente "la buona novella". Perché, allora, ostacolare coloro che lavorano per diffondere le notizie? Se questa Notizia è così Buona, perché portare avanti le discussioni su di essa in segreto? O forse la Chiesa si sta preparando a lanciare un nuovo tipo di "Vangelo fantasma"? O lei forse ritiene che il Concistoro debba dare consigli al papa, e quei consigli sono "privati"? Ne dubito. L'autorità del papa è rivolta al servizio del popolo di Dio. Anche il suo. E il mio.
Vorrei sentire le sue risposte ad alcune questioni ancora più basilari. Lei pensa che la Chiesa ufficiale sia responsabile del popolo di Dio? Lei ha detto "ognuno ha il diritto di sapere". Ma lei qui sembra imporre alcuni limiti arbitrari. Che cosa la gente ha il diritto di sapere? E perché ha il diritto di sapere?
Se la Chiesa ufficiale non è responsabile, per favore ci dica perché pensa che non lo sia. Lei è prigioniero, all'interno del Vaticano, di coloro che vedono se stessi come la Chiesa stessa, che non hanno bisogno di dire nulla a nessuno, eccetto per ciò che scelgono di condividere, spesso con parole che pochi moderni possono persino capire.
O stiamo qui parlando di un problema di potere? Forse coloro che rappresentano la Chiesa stessa non si fidano del fatto che la stampa possa riportare in modo fedele ciò che vede e sente, e vorrebbero riservare a sé il lavoro di informazione? Se è così, questa mancanza di fiducia è veramente sbalorditiva.
DOC-1087. CITTÀ DEL VATICANO-ADISTA. Un appello ai cardinali riuniti in Concistoro affinché nel prossimo Sinodo dei vescovi, in programma per ottobre, venga trattato il tema di una ampia riforma della Chiesa che vada da una revisione della nomina dei vescovi ad una maggiore collegialità, dalla maggiore partecipazione delle Chiese locali ad una maggiore apertura del dialogo teologico. A promuoverlo è il movimento internazionale "Noi siamo Chiesa", presente a Roma durante lo svolgimento del Concistoro, che annuncia in questa occasione la creazione di un "Sinodo-ombra", che si svolgerà parallelamente a quello ufficiale, a cui parteciperanno membri di diversi organismi di riforma della Chiesa.
Di seguito pubblichiamo, in una nostra traduzione dall'inglese, il documento di "Noi siamo Chiesa".
Movimenti di riforma cattolica di tutto il mondo stanno preparando un "Sinodo del popolo di Dio" che risponda al Sinodo dei vescovi in programma a Roma nel prossimo ottobre Il Concistoro dei Cardinali: gruppi cattolici di base attendono una sostanziale riforma della leadership.
Un "Sinodo del Popolo di Dio" organizzato da movimenti di riforma cattolica di tutto il mondo farà da contraltare al Sinodo dei vescovi in programma a Roma nel prossimo ottobre. Il Sinodo dei vescovi esaminerà il ruolo e il lavoro del vescovo, posizione chiave di leadership nella Chiesa, che riguarda tutti i fedeli.
I movimenti cattolici di riforma sono consapevoli del fatto che il Concistoro, che si svolgerà a Roma dal 21 al 24 maggio, costituisce una preparazione del Sinodo dei vescovi e dunque presentano ai cardinali un insieme di sette obiettivi (cfr. appendice). Vi è un'urgente necessità di una nuova relazione tra Chiesa universale e Chiese locali; di una riforma della Curia romana e insieme di un rafforzamento del Sinodo dei vescovi. Giovanni Paolo II stesso ha fatto recentemente riferimento a queste riforme nella sua lettera Novo millennio ineunte. Tali questioni non sono solo di interesse dei cattolici ma riguardano l'ecumenismo e persino il futuro del cristianesimo.
Il Sinodo-ombra sarà un susseguirsi di discussioni su Internet, di ricerca e di promozione a livello di media, che culminerà in un incontro che si svolgerà mentre i vescovi sono impegnati nella loro assemblea a Roma. L'intenzione è di coinvolgere quante più persone, gruppi e reti possibile in tutto il mondo nella discussione sul ruolo e sul lavoro del vescovo diocesano e su un nuovo equilibrio tra Chiese locali e Vaticano.
Già più di duecento gruppi e reti di tutto il mondo hanno dato il loro appoggio a questo Sinodo del Popolo di Dio. Esso è stato convocato dalla Rete europea "Church on the Move" (20 gruppi in 11 Paesi) e dal movimento internazionale "Noi Siamo Chiesa".
I cattolici impegnati nella riforma della Chiesa si attendono dal Concistoro proposte che non tengano solo in considerazione il pensiero teologico più recente ma che siano accettabili anche per le Chiese protestanti e ortodosse. Anche la riforma del ministero del papato dovrebbe essere discussa, come il papa stesso ha affermato nella sua enciclica del 1995 Ut unum sint.
Informazioni:
Internet: www.shadow-synod.net
Email: media@shadow-synod.net
Tel.: Inglese 0044-20-72352841 (Simon Bryden-Brook, London)
Tedesco 0043-1-3204234 (Dr. Hubert Feichtlbauer, Vienna)
Francese e spagnolo 0033-1-39490554 (Elfriede Harth, Versailles)
Italiano 0039-06-5757072 (Luigi Sandri, Roma)
SETTE OBIETTIVI PER IL CONCISTORO STRAORDINARIO DEI CARDINALI
Il movimento mondiale di riforma all'interno della Chiesa cattolica gradirebbe che il Concistoro affrontasse in particolare i seguenti punti:
1. Rapporto tra Chiesa universale e Chiese locali
Ci attendiamo una chiarificazione sulle competenze delle Chiese locali, poché
"è in esse e a partire da esse che l'unica Chiesa cattolica esiste" (Costituzione
dogmatica sulla Chiesa, 23 e 25, Decreto sull'ufficio pastorale dei vescovi
nella Chiesa, 11). Dev'essere messo in chiaro che la Chiesa cattolica non è
una super-Chiesa, e le Chiese locali non sono province della Chiesa universale.
La Chiesa universale, che si identifica oggi con il papa e Roma, non dovrebbe
cercare di imporre l'uniformità sulla varietà delle Chiese locali.
2. Collegialità del ministero dei vescovi
Ci attendiamo che i vescovi pratichino il loro ministero in modo collegiale,
perché non solo il vescovo di Roma ma tutti i vescovi insieme sono responsabili
dell'opera apostolica (Decreto sull'ufficio pastorale dei vescovi, paragrafo
6).
3. Conferenze episcopali
Ci attendiamo un ampliamento sostanziale della competenza delle Conferenze episcopali
regionali e, se fosse necessario, la creazione di nuovi patriarcati (metropolitani
regionali o continentali) allo scopo di riflettere la crescente complessità
e diversità della Chiesa cattolica a livello mondiale.
4. Elezione dei vescovi
Ci attendiamo la partecipazione della Chiesa locale nella nomina di un vescovo
perché una nomina senza partecipazione o persino contro la volontà
della Chiesa locale è in contraddizione con le chiare norme dettate da
papi precedenti come Leone I.
5. Riforma della Curia romana e rafforzamento dei Sinodi dei vescovi
Una riforma fondamentale della burocrazia papale è necessaria vista la
scarsa efficacia pratica della riforma del 1988. È dovere della Curia
papale SERVIRE i vescovi del mondo e non COMANDARE su di loro (Decreto sull'ufficio
pastorale dei vescovi nella Chiesa, 9). Anche i Sinodi dei vescovi introdotti
dal Concilio Vaticano II (1962-1965) sono ampiamente inefficaci nel contrastare
il potere della Curia romana, poiché svolgono una funzione puramente
"consultiva" e possono essere ignorati.
6. Restaurazione del voto di maggioranza dei due terzi richiesto per i cardinali
in un conclave.
Il requisito della maggioranza dei due terzi è stato in vigore dal 1179
ed è stato abolito solo nel 1996 (dall'attuale papa). Le nuove norme
permettono una maggioranza semplice dopo trentatre votazioni fallite e questo
significa che vi è il pericolo che un papa venga eletto senza l'appoggio
che le sue gravi responsabilità richiedono.
7. Libertà teologica
Molti vorrebbero vedere un clima di dibattito teologico più aperto all'interno
della Chiesa cattolica, come testimoniato dal Concilio Vaticano II (Gaudium
et Spes). Tale libertà di dibattito teologico è tanto un prodotto
quanto un prerequisito del Vangelo di Gesù Cristo, come lo si legge nella
Bibbia.