31369. ROMA-ADISTA. Sacerdote, abusato sessualmente per 8
anni a partire da quando ne aveva 10-11, indotto al silenzio, prima
che dallo stesso abusatore, da un'educazione cattolica improntata alla
teologia sacrificale, don Stefano Federici, decide di venire
allo scoperto e racconta - siamo nel luglio 2000 - in un'intervista
alla trasmissione televisiva "Sciuscià", dedicata quella settimana al
Gay Pride, la sua tremenda esperienza nella comunità cattolica e nella
Chiesa. E comincia ad essere "perseguitato" - questa la parola che usa
- dal suo cardinale, il card. Camillo Ruini, essendo don
Stefano un prete di Roma. Ma nell'intervista che don Stefano ci ha
rilasciato, a "viso scoperto", con un coraggio davvero inusuale nella
Chiesa, soprattutto relativamente a questi temi, non c'è la denuncia
solo di un "accanimento" nei suoi confronti, bensì la denuncia di una
complicità strutturale ecclesiale ed ecclesiastica, di una omertà.
Scriveva d'altronde don Enzo Mazzi della Comunità dell'Isolotto
di Firenze, su "il manifesto" dell'8 maggio (v. l'articolo integrale
nel numero verde allegato) che la Chiesa, in nome di un amore materno
che vuole mantenere gli uomini bambini e che educa i bambini al senso
del peccato, del sacrificio e del perdono, ha sviluppato una teologia,
e una pratica, "strutturalmente pedofila".
Fin dall'inizio del suo sacerdozio, l'attività pastorale di don
Stefano è stata volta alla catechesi sacramentale, ai giovani, ai
disabili, ai tossicodipendenti, per i quali ha fondato un Centro di
Ascolto Caritas. Ha dato vita anche alle Comunità di Emmaus per la
formazione alla fede degli adulti e ha prestato il suo servizio presso
le parrocchie romane di S. Luca Evangelista, Nostra Signora di
Coromoto, Nostra Signora del Suffragio, in quella della Natività. Nel
1996 è stato nominato vice rettore della Rettoria di S. Salvatore,
dove ha svolto principalmente un'attività di consulenza privata di
carattere psicologico-spirituale per persone separate o risposate,
omosessuali e transessuali, per vittime di abusi. Qui ha ospitato per
un breve periodo l'équipe di psicologi e psicoterapeuti che, sugli
stessi temi, stava lavorando alla progettazione del Centro Arcobaleno
di Pastorale Speciale.
La "consulenza esterna" che don Stefano ha offerto a questo Centro,
nonché le consulenze private, sono motivo del "Decreto" di pena del
card. Ruini, datato 27 novembre 2000. Ma al contempo nel "Decreto" gli
viene contestato di aver reso noto ai microfoni di "Sciuscià" il suo
personale orientamento omosessuale. Cosa che don Stefano smentisce
recisamente. Alla fine delle contestazioni, al sacerdote si fa
"divieto di utilizzare le strutture della Rettoria S. Salvatore della
Corte (…) anche solo per incontri con persone omosessuali, come anche
di continuare qualsiasi attività volta a promuovere questa o altre
iniziative con finalità analoghe"; e gli si chiede di presentare "un
documento scritto nel quale esplicitamente professi la sua assoluta
fedeltà e il suo religioso ossequio al Magistero della Chiesa in
materia di pastorale delle persone omosessuali e di valutazione morale
delle tendenze e dei comportamenti omosessuali". Qualora don Federici
non avesse ottemperato "agli obblighi di cui sopra" entro il 15
dicembre successivo, sarebbe incorso, si legge nel "Decreto", "nella
censura della sospensione latae sententiae, restandogli vietato
ogni atto della potestà sacramentale d'ordine".
Di tutto questo, fino agli ultimi eventi che vedono il sacerdote
privato di casa e stipendio, parliamo con don Stefano nell'intervista
che segue.
Don Stefano, a che punto delle tua vita
sei?
Sono sacerdote della diocesi di Roma, ho 42 anni. Sono prete dal 1987,
ho studiato al seminario romano maggiore. Sono plurilaureato: in
filosofia alla Statale, in teologia, in pedagogia alla Terza
Università. Attualmente ho un contratto, ma non sono ancora
strutturato, di docente a Psicologia all'Università "La Sapienza" di
Roma. È una cosa molto importante per me che ho perso lo stipendio di
sacerdote: un contratto significa 5-6 mesi all'anno di stipendio. Se
non avessi questo, anni di studio e di lavoro, senza un pensionamento,
senza una liquidazione, sarebbero buttati al vento. E ho perso anche
la casa: da questa, dove siamo in questo istante, sono stato cacciato
via, ho l'intimazione a lasciarla. Qui dentro ci ho messo 30 milioni
per poterci vivere, e quando mi fu data era già un primo esilio.
Prima abitavi in locali legati alla tua attività pastorale?
Sì, ma dato il mio impegno in realtà problematiche ai margini, fra cui
omosessualità, transessualità e pedofilia, ho avuto sempre un'infinità
di problemi. Non sono i primi quelli che mi ha procurato l'intervista
rilasciata a "Sciuscià" a luglio 2000, in cui raccontavo di essere
stato abusato da piccolo, pur avendo, lo ammetto, paura di perdere
casa e stipendio.
Malgrado i problemi seguiti a quella prima intervista, hai
accettato di fare questa. Perché?
Io non voglio riportare semplicemente la mia esperienza di survivor
of child sexual abuse in christian environment, cioè di
"sopravvissuto ad un abuso in un ambiente cristiano". Posso dire, come
esperienza personale e come studioso, docente di psicologia, che si ha
un'identità di sopravvissuti: un'identità che struttura la tua
identità personale e la tua sessualità, che potenzialmente ti porta a
replicare su altri l'esperienza di abuso che hai subito. Ci sono
studiosi che hanno dimostrato come i grandi dittatori della storia
hanno un passato di abuso. Dunque, la mia denuncia è questa: la
struttura, non solo mi ha educato e mi ha cresciuto così, ma con
l'omertà mi sta rendendo un potenziale abusatore. Io sono un
potenziale criminale. Dunque non voglio semplicemente raccontare
dell'abuso subito da me, ma denunciare che cosa mi è successo in
conseguenza del fatto di aver alzato la mia voce in mia difesa e in
difesa di tutti quelli che subiscono abuso all'interno della comunità
cristiana, come me.
Cosa intendi quando parli di "abuso all'interno della comunità
cristiana" e aggiungi "come me"?
Intendo una cosa ben precisa. Come dichiarai pubblicamente alla
trasmissione televisiva "Sciuscià" in occasione del Gay Pride del
2000, ed è stato l'inizio delle mie dure vicissitudini con la Chiesa
ufficiale e il motivo del Decreto del cardinale Ruini, ritengo che
l'approccio teologico in base al quale si impedisce di partecipare ad
una manifestazione di omosessuali durante il Giubileo è lo stesso
approccio teologico che aveva tenuto me per tanti anni nell'omertà di
una violenza che subivo. Perché dico dunque, in ambiente cristiano o
nella comunità cattolica? Io non ho ricevuto violenza da un sacerdote,
ma violenza sessuale da uno dei miei cognati, da quando avevo 10-11
anni per un lunghissimo periodo, 7-8 anni. E questo è avvenuto nella
comunità cristiana: uno, perché sono vissuto in una famiglia
fortemente cattolica, fortemente cristiana e in un modo "sano", sano
nella misura in cui questa fede è stata vissuta da tutti con un
livello culturale molto alto, con una piena partecipazione della vita
comunitaria: tutti eravamo molto coinvolti in associazioni, movimenti,
attività politica. La fede non era semplicemente un approccio magico.
Due: anche se fino all'età di 33-34 anni mantenni il silenzio sugli
abusi subiti, fin dalla prima volta mi confessai dal sacerdote, e per
questi 7-8 anni mi sono sempre confessato.
Ti confessavi perché ti sentivi in colpa?
Certo. Questa è la violenza! Tanto più il bambino non riesce a capire
la violenza che subisce, tanto più la sua personalità è disturbata;
tanto più suppone di avere la responsabilità di essere il seduttore,
tanto più il suo comportamento è violato. Quello che io denuncio è che
in questi 7-8 anni non c'è stato mai, mai, nessuno che abbia tirato
fuori questo bambino dal confessionale e gli abbia detto "ehi, mamma e
papà dove sono?".
E che ti dicevano questi sacerdoti?
Mi parlavano della teologia della sofferenza, quando non mi accusavano
direttamente. Mi ricordo che, a Santa Maria Maggiore, il penitenziere
quando gli confessai il mio dramma, disse che avevo commesso quattro
peccati mortali. Uno me lo sono dimenticato, l'ho rimosso, gli altri
li ricordo bene: peccato contro natura, attentato al matrimonio di mia
sorella, brutto disgraziato!, e atti contro il sesto comandamento. Ora
chiedo: questo non è un crimine della Chiesa? Questo è un crimine
della Chiesa. Se è vero che fare i venerdì del mese garantisce il
Paradiso, io mi sono guadagnato 10 Paradisi, perché per tutti quegli
anni, ogni venerdì del mese ero lì per paura dell'Inferno, e su via
Marsala io attendevo all'alba l'apertura della chiesa. E poi sono
entrato in seminario, ancor prima che qualcuno, a parte i confessori,
sapesse della violenza che avevo subito e che per la prima volta, al
di fuori della Chiesa, raccontai alla mia terapeuta.
Ma tu perché sei entrato in seminario?
Per quello che dice Drewermann: il disorientamento ontologico. Ma
bisogna stare attenti nel dire questo, perché c'è una manipolazione da
parte del cardinale Ruini, e di altri come lui, che prende queste mie
dichiarazioni per dire: avete visto? questo non dovevano ordinarlo
sacerdote, non ha vocazione, per cui: fuori dalla Chiesa cattolica!
Cioè lo ritorcono contro di me, come se io non potessi rielaborare le
motivazioni della mia vocazione nella maturità oggi della mia
coscienza, come se la mia vocazione non fosse anche quella di oggi e
fosse soltanto quella che mi ha mosso all'inizio, e che comunque mi ha
mosso in uno stato indubbiamente consapevole, perché nessuno mi ha
costretto a niente. Al mio rettore dissi degli abusi che mi avevano
tormentato per tanti anni, ma questi non ha mai chiamato un consulente
psichiatrico, uno psicologo.
A che età sei entrato in seminario?
Da adulto. Avevo 22 anni. Ma io portavo - proprio perché il mio corpo
era diventato una ragione di sofferenza e non di piacere - dei cilici
che dovevano creare una costante sofferenza ai miei genitali: me li
ero costruiti da solo, con delle puntine e degli elastici. Il mio
padre spirituale li ha visti, mi ha fatto spogliare per vederli.
Ti avrà proibito di continuare ad usarli.
Sì, ma mi ha solo proibito di usarli considerandoli un eccesso di
ascetica, non una follia: non ha supposto che fosse arrivato il
momento di dire: ma questo ragazzo avrà bisogno di aiuto? Un aiuto che
non sia quello di offrire tutta la sua sofferenza nel perdono
dell'abusatore e nel riscatto del mondo? Ma non sono un potenziale
abusatore? Se non sono riconciliato con il mio corpo, come posso
sublimare la mia sessualità? Allora, questo per spiegarti perché parlo
di violenza in ambito cattolico. Ma la ragione per cui ho accettato
questa intervista è anche per le vicende che si sono verificate, per
il processo iniziato nell'anno giubilare e che mi ha portato a perdere
lo stipendio, a perdere l'incarico pastorale che svolgevo, a non poter
più fare insegnamento teologico …
Dove insegnavi? Avevi un contratto?
Lavoravo all'Auxilium, che è l'Università pontificia di Scienze
dell'educazione, dove ero un docente "ospite", non pienamente in
organico, perché ero già una persona pericolosa in quanto mi occupavo,
nella diocesi di Roma, oltre che di disabili, divorziati, drogati,
anche di pedofilia, di transessualità e di omosessualità. A un certo
punto hanno cominciato a farmi delle difficoltà: mi hanno detto che se
non mi fossi vestito da prete, se non mi fossi conformato
all'insegnamento ufficiale della morale cattolica, non avrei potuto
continuare. Ma io non insegnavo teologia morale; tenevo un corso su
"Disabilità, sessualità, pedofilia". Cosa ha a che vedere con la
morale cattolica? - chiesi - tratto la materia da un punto di vista
scientifico. Insomma, non potei restare. Per cui, vedi, è come parlare
di ambienti di mafia. Io non ho prove per dirti che sono stato buttato
fuori, ma non ho dubbi su questo. Ci sono pochissimi preti che
potevano vantare un curriculum come il mio nella diocesi di Roma, ciò
malgrado non ottenni l'insegnamento, mi basta questo.
Eppure, fin troppo si è costretti a parlare e scrivere di
pedofilia, anche in ambito ecclesiale, soprattutto con la situazione
critica che sta affrontano la Chiesa degli Stati Uniti, la riunione a
Roma dei cardinali americani con il papa…
L'esplodere della situazione della Chiesa americana non è dovuto tanto
alla denuncia della pedofilia, quanto al pericolo del crollo economico
della Chiesa americana in conseguenza delle cause che stanno portando
avanti le vittime. Trovo assurdo che si possa dire, come ha detto il
papa (che io capisco, buon'uomo, quanto sia scandalizzato, ma non si
rende conto che non basta provare scandalo e lasciare la struttura
così com'è se questa è portatrice di male): un'opera d'arte, ha detto,
per quanto sfigurata da una macchia, non perde il suo valore. Eh, un
momento: se questa macchia è prodotta dall'esterno, non se questa
macchia è voluta dall'autore. E chi l'ha mai detto che questa è stata
prodotta dall'esterno? Quello che denuncio è invece che questa forma
di pedofilia è proprio prodotto di questa teologia, prodotto di quei
cardinali, di tutti quegli uomini di Chiesa che hanno chiuso gli
occhi. E faccio un esempio. Dopo anni di terapia, un giorno ho deciso
di dar voce alla mia sofferenza anche nell'ambito della mia famiglia.
Quando dissi ai miei genitori che per anni ero stato abusato davanti
ai loro occhi, o poco dietro l'angolo, loro mi risposero: Stefano,
perché non ce l'hai mai detto? Gli risposi: mamma, chiediti perché mai
un bambino di 11 anni non te l'abbia detto. La stessa cosa sta
avvenendo con i cardinali: metti al posto dei cardinali americani che
si sono riuniti a Roma, dei genitori che tentano di far fuori
l'abusatore senza chiedersi come mai le persone possano subire una
violenza davanti ai loro occhi, nelle loro comunità, in famiglia. Ecco
perché non posso semplicemente dire che io ho subito violenza da una
persona, è come se avessi subito violenza anche dai preti, dalla mia
Chiesa, dal mio cardinale, e il mio cardinale è un complice. È un
complice perché sopporta un crimine, crea una macchia. Perché mi ha
detto che io, l'abusato, parlando dell'offesa subita, ho offeso la
sacralità del mio sacerdozio e offeso la sensibilità del popolo di
Dio. Sostiene di dire queste cose in nome della Chiesa cattolica. Ma
non è vero, non è in nome della Chiesa cattolica, ma del potere della
Chiesa cattolica.
Veniamo, appunto, al tuo incontro col cardinale Ruini, dopo la tua
intervista a "Sciuscià".
Fu la volta in cui mi venne letto ufficialmente il Decreto con cui
aveva inizio un processo penale nei miei confronti. Accanto al
cardinale, il cancelliere del Vicariato di Roma leggeva il Decreto ad
alta voce. In un passaggio in cui si elencavano i crimini di cui
secondo loro ero responsabile, si diceva che durante l'intervista a
"Sciuscà" io avrei reso manifesto il mio orientamento omosessuale.
Ora, io non ho nulla da dover dichiarare sul mio orientamento
sessuale, se non fosse che non accetto minimamente che qualcuno possa
permettersi di giudicare il mio orientamento senza sapere qual è
l'orientamento di un abusato, dell'identità sessuale di un abusato, e
che soltanto le categorie patriarcali riescono, come al solito, a
polarizzare quella che è la complessità della personalità umana.
Quello che è stato terribile è che io fermai il cancelliere e dissi:
Eminenza, quell'intervista è registrata, lei può riascoltarla, non ho
mai parlato del mio orientamento sessuale; ho solo raccontato di
essere stato oggetto del desiderio sessuale di un'altra persona, non
ho mai parlato del mio. Il cancelliere è intervenuto e ha detto: ma
per noi, caro don Stefano, non fa nessuna differenza. Poi gli mandai
una lettera nella quale chiesi: Eminenza, se lei ritiene che nella mia
dichiarazione io abbia toccato la sacralità del popolo di Dio e della
Chiesa, se lei lo ritiene come pastore, sono pure d'accordo, ma come
mai lei non mi presenta le scuse per una persona che mi ha insultato
davanti a lei?
Ma è frequente imbattersi nella confusione tra pedofilia e
omosessualità.
Certo, e questa "confusione" è stata confermata da quanto detto
contemporaneamente all'incontro dei cardinali americani in merito alla
necessità dell'epurazione degli omosessuali dai seminari. A
prescindere dal fatto che i seminari si svuoterebbero, e non solo i
seminari: gli si svuoterebbe il Vicariato, perché io queste cose le
studio e conosco le statistiche di studiosi che parlano, per Roma, di
più del 60% di preti con orientamento omosessuale (e qui apro una
parentesi: quando l'ho detto al cardinale, mi ha risposto che io di
queste cose non devo parlare e che questi studiosi sono contro la
Chiesa); a prescindere da questo, bisogna affermare a chiare lettere
che la pedofilia non è omosessualità. E soprattutto che inizialmente
la pedofilia non è il potere di un maschio contro un maschio, ma il
potere patriarcale contro la donna e i suoi figli, e che è impossibile
fare giustizia di questa violenza se non si cambia la struttura che
sostiene questo patriarcato. Assimilare pedofilia e omosessualità,
ovvero attaccare gli omosessuali parlando di pedofilia, significa non
aver messo e non voler mettere in questione le polarità su cui vive e
sopravvive una struttura patriarcale. Gli omosessuali sono un'anomalia
di questa struttura. Attaccare l'anomalia salva dall'attaccare la
struttura. Dire pedofilia uguale a omosessualità vuol dire salvare la
struttura.
La teologia femminista dice che la violenza contro le donne e la
violenza e l'abuso contro i minori sono comprensibili soltanto in una
struttura patriarcale. È una struttura di polarità: maschio-femmina,
eterosessuale-omosessuale, clero-laici, sacro-profano, padre-figlio,
moglie-marito. Ma le polarità non solo si contrappongono, ma sono
gerarchizzate: maschio su, femmina giù, clero su, laici giù… celibato
su, matrimonio giù. Soltanto in questa struttura, che ha sviluppato
una conseguente teologia sacrificale, è possibile pensare che esista
una persona che possa decidere un abuso sull'altro e giustificarlo. E
la nostra Chiesa funziona così. E come fa questa struttura a fare
giustizia? Il genitore non farà mai giustizia, perché non vorrà mai
vedere; il genitore non difende un figlio abusato non perché non ha il
coraggio di denunciare o picchiare l'abusatore, ma perché non vedrà
mai la sofferenza di un figlio. Un cardinale non potrà mai essere un
difensore dei più piccoli, perché è un cardinale.
Da parte del genitore, o dell'ecclesiastico, "vedere" questi fatti
non vuol dire accusare innanzitutto se stessi?
Ma certamente. Perché è la struttura stessa che crea la macchia. Si
cerca di far credere che in Italia in ambito ecclesiale non c'è
pedofilia. Perché non c'è pedofilia? Perché non se ne può parlare.
Qualche esempio dalla mia esperienza di "messo a tacere" e di come
certi crimini vengano tenuti nascosti. Quando ho iniziato a insegnare
all'Auxilium, mi fu chiesto, in qualità di docente, di partecipare
alla rivista dell'istituto. Scrissi un articolo in cui descrivevo un
caso di abuso sessuale su un bambino - in quel caso era la mia storia
personale, ma ovviamente nascosi questo particolare - e la teologia
che sottostava a questo percorso: come la teologia aveva creato una
realtà abusante. Fu respinto. E più tardi mi fu detto che non potevo
continuare ad insegnare perché le mie dottrine non corrispondevano
alla dottrina morale cattolica.
Nel '94-'95 diedi vita ad un centro che doveva occuparsi di persone di
diversi orientamenti sessuali e delle difficoltà connesse
all'appartenenza alla propria realtà religiosa. Mi occupavo, dunque,
di realtà molto particolari, come quelle della pedofilia, del
transessualismo. Questa attività venne immediatamente bloccata dal
cardinale. Quando gli obiettai che i tanti transessuali che venivano
dal Sud del mondo, dal Brasile, si stavano indirizzando nelle comunità
buddiste perché non trovavano più accoglienza nella mia, mi fu detto
che non dovevo assolutamente continuare e che avrei dovuto sempre
chiedere al citofono, alla persona che citofonava dalla strada, se era
omosessuale o che altro, perché potevo far salire solo gli
eterosessuali. Per ricevere gli altri sarei dovuto scendere al portone
io.
Un altro esempio. Quando dissi al mio cardinale: ma come Eminenza, lei
mi sta infliggendo una pena perché io, vittima di abuso, avrei offeso
la sensibilità del popolo di Dio e la sacralità del sacerdozio avendo
dichiarato la mia sofferenza, e mons. ***, vescovo di ***, che ha due
processi in corso per aver abusato, quando era vescovo, dei
chierichetti, è stato spostato in Vaticano perché non affrontasse in
pubblico questa situazione e nominato responsabile di due basiliche
romane? Quando gli dissi questo, sai cosa mi rispose? "Don Stefano,
questi sono fatti che non ci riguardano, e se tu hai qualcosa con
mons. ***, ti dovrai rivolgere alla legge civile. Ma, ricordati, ne
pagherai le conseguenze". Detto dal mio cardinale, con tutto il potere
che ha, questa è una minaccia.
E in più devo chiedere giustizia a colui che mi accusa, il mio
cardinale, perché nel sistema giudiziario ecclesiastico il vescovo è,
in prima istanza, anche il giudice! Quello che mi ha stupito nel
vedere quei cardinali a Roma, era proprio immaginare la somma
ingiustizia di quando i padrini di mafia condividono il potere dei
magistrati.
Ruini mi aveva anche chiesto: ma come mai, don Stefano, soltanto a te
vengono a raccontare queste storie di disagio sessuale? Eminenza, ma
questo dovrebbe chiederselo lei. Ma non vede la fine che fa chi parla
davanti a lei? Le vittime sono punite più che i carnefici. Mi ha preso
i documenti che avevo in mano e me li ha tirati addosso e mi ha
intimato: vai fuori!
Dicevi all'inizio che hai perso stipendio e casa. Precisamente come
è andata?
Il Decreto che ha attivato il mio primo processo, quello relativo a
"Sciuscià" (il secondo, relativo alla mia sospensione dallo stipendio,
è in corso) è arrivato fino alla Segnatura Apostolica. Non si vince
contro il cardinale Ruini, ma io non ho perso quella causa, cioè non
mi fu inflitta una pena. Mi fu detto che era il massimo che potevo
ottenere e che era la mia vittoria. Per cui fui invitato a trovare una
via d'accordo e di riconciliazione. Accettai. Andai a parlare col
cardinale, al quale dissi di essere disposto a firmare, come mi aveva
in precedenza chiesto, una carta - purché non contenesse una
ritrattazione della mia esperienza di sofferenza - in cui
sottoscrivevo l'insegnamento del magistero come dimostrazione di
ossequio religioso. Mi mandarono un testo di una pagina e mezzo con
affermazioni circa la morale cattolica in materia di sessualità e
omosessualità e circa il mio impegno a rinunciare a ulteriori ricorsi
alla Segnatura Apostolica. Firmai e considerai quest'atto come il
segno della pace ristabilita col mio pastore. Quattordici giorni dopo
la mia firma e il mio impegno ad astenermi da ulteriori ricorsi, fui
cacciato da qui, con la motivazione ufficiale che non avendo un
incarico diocesano non potevo rimanere in questa casa che è annessa a
luogo sacro, ma in realtà perché dicevano che io qui convivevo con un
transessuale. Ed è assolutamente falso. Mi davano 15 giorni di tempo
per trasferirmi. Cosa impossibile. E d'altronde io gli chiedevo la
restituzione dei 30 milioni che avevo investito nell'appartamento.
Allo scadere dei 15 giorni mi arrivò il Decreto che diceva: siccome
non hai ottemperato a questa richiesta, noi consideriamo questo un
rifiuto da parte tua del nuovo incarico pastorale che ti abbiamo dato.
Ma, insomma, lo avevi o non lo avevi l'incarico per l'attività
pastorale?
La cosa è complicata. Spiego. Io non ho una sospensione a divinis,
per cui, per togliermi da qui, perché comunque volevano allontanarmi,
erano tenuti a darmi un ufficio pastorale altrove. Mi hanno fatto
cappellano di un Istituto per anziani fantomatico (perché non ci sta
per ora neanche un anziano). E mi hanno dato come abitazione un
miniappartamento, che è un retrobottega, al Torrino. E che io ho
rifiutato, perché è un posto invivibile e io volevo indietro i miei 30
milioni. Questo retrobottega non ha nessun collegamento con
l'Istituto, non era abbinato ad un centro religioso, cosa che mi
avrebbe costretto ad accettare. Loro hanno presentato la cosa in
questo modo: la rinuncia alla casa corrisponde alla disobbedienza
all'ufficio. E rinunciando io all'ufficio, mi sospendevano lo
stipendio. Cosa che mi hanno comunicato il 19 marzo scorso. Per cui ho
iniziato un secondo processo, in cui si riprende tutto il mio caso per
dimostrare che c'è stato un accanimento, che sono stato gabbato, che
continua la persecuzione.
Continui a dire messa?
Io posso continuare a dire messa, non essendo, come dicevo, sospeso,
ma non nella mia comunità. Mi era stata data una cappella dove dire
messa, annessa all'Istituto per anziani. Ma il rettore di questa
cappella non voleva che celebrassi ed è andato dal cardinale a dirgli
che non voleva avere a che fare con me. E quando andai a concordare
l'orario, questo cappellano non mi permise di celebrare.
Temevi di perdere stipendio e casa. Oggi che li hai persi, cosa
temi, rilasciando queste tue dichiarazioni?
Temo che possano influire negativamente sui miei concorsi
universitari. Per il resto, mi sento praticamente liberato: ormai che
altro posso perdere? Ma c'è una cosa che non devono permettersi di
togliermi: il sacerdozio. Sono un sacerdote e voglio esserlo.
|