I titoli del n°43 dell'11 giugno 2005

Lettere FUORISACCO

"SULLA VITA NON SI VOTA". E NON SI FIATA. LA CURIA DI GENOVA MINACCIA SANZIONI CONTRO DON GALLO

IL COMUNICATO STAMPA DELL'ARCIDIOCESI DI GENOVA

LA LETTERA DI DON GALLO AL VICARIO DELLA DIOCESI

LA LETTERA DELLA COMUNITÀ DI SAN BENEDETTO AL PORTO

ACLI E DOCENTI CATTOLICI: ADDIO ALLA COMPATTEZZA ASTENSIONISTA

FATE USO DEL VOSTRO VOTO

NOI, EX DIRIGENTI E MILITANTI DELLE ACLI INVITIAMO AD ANDARE A VOTARE

DA CATTOLICI, CONTRO L'ASTENSIONE DALLA SCELTA

SÌ, NO, NON SO, PURCHÉ SI VOTI. IL DOCUMENTO DEI VALDESI

BENEDETTO XVI SOSTIENE LA CAMPAGNA ASTENSIONISTA DEL CARD. RUINI

BENEDETTO XVI: QUESTI BUONI VESCOVI ITALIANI

CARD. RUINI: NESSUN DISIMPEGNO NÉ INTERESSE DI PARTE

DAL FRONTE DEI CATTOLICI DISOBBEDIENTI. LETTERA DI ADISTA A "REPUBBLICA"

IL 70% DELLE COPPIE CHE RICORRONO ALLA PROCREAZIONE ASSISTITA È CATTOLICO. UN'INDAGINE PRESSO I CENTRI MEDICI

ALICI COME PRIMA. RISPETTATI I PRONOSTICI SULLA SCELTA DEL NUOVO PRESIDENTE DELL'AZIONE CATTOLICA

RICUCIAMO LA COSTITUZIONE! PARTE LA CAMPAGNA CONTRO LO SMEMBRAMENTO DELLA CARTA PROGETTATO DAL CENTRODESTRA

VOGLIAMO BEPPE GRILLO ALLA PRESIDENZA DEL WTO! LA CANDIDATURA ANTILIBERISTA DI TRADEWATCH

IL NO ALLA COSTITUZIONE EUROPEA PER UN SÌ AD UNA SOCIETÀ PIÙ SOLIDALE

IL NUOVO CORSO DELLA CHIESA FINLANDESE: VIA IL CONCILIO, AVANTI KIKO

FUORITEMPIO

 


Lettere FUORISACCO

Lettera aperta al cardinal Ruini

Eminenza,
"È in linea con l'etica cristiana (del Vangelo) l'invito a non andare a votare per far fallire il referendum?"
Mettiamo in chiaro anzittutto i termini della questione:

1. È molto importante che la Gerarchia (cattolica) inviti - soprattutto in questioni critiche e delicate - i fedeli ad agire:
a) secondo coscienza;
b) secondo l'etica cristiana (del Vangelo).
Non è la stessa cosa coscien-za ed etica.
Un esempio: se un cristiano è, in coscienza, convinto che non può accettare per es. l'aborto come soluzione a gravi problemi di una donna incinta, costui non può - in coscienza - favorire o aiutare una donna ad abortire (= scelta di coscienza).
- Invece un cristiano, personalmente convinto co-me sopra, proprio perché cristiano, si ritiene impegnato a fare in modo che chi non la pensa come lui/lei possa avere la possibilità, anche legale, di poter fare la sua scelta (dell'aborto) con tutti gli aiuti e assistenza del caso. Questa è una scelta etica secondo il Vangelo, perché rispetta le scelte del "suo prossimo".

2. Perché, per un cristiano, la "scelta etica (secondo il Van-gelo") è cosi' diversa da quella "secondo coscienza"?
Detto in soldoni: perché "la scelta secondo coscienza" è individuale/personale, senza riferimenti alla società e alla comunità in cui vive. Qui l'individuale viene prima del sociale/comunitario e decide lui.
- Invece "la scelta etica" met-te alla base del proprio agire, cioè in primo piano, la di-mensione comunitaria, socia-le: il bene degli altri, soprat-tutto dei più deboli, senza rinunciare alle proprie per-sonali convinzioni morali.

3. Ma cosa dice, esattamente, l'etica cristiana basata sul Vangelo? Dice che il primo Comandamento per il creden-te in Cristo è l'amore al prossimo, cioè il "fare il bene degli altri", del prossimo. Significa rispettare le loro scelte e fare in modo che essi ("gli altri"), soprattutto se non cristiani, o comunque coloro che la pensano in modo diverso, possano vivere e agire nella nostra società secondo la loro coscienza, non imponendo la nostra! "Pros-simo" e "pluralismo" sono due facce complementari della stessa medaglia.

4. Proviamo ad applicare questi principi alla questione del referendum della "fecon-dazione medicalmente assisti-ta", oggetto del referendum del prossimo giugno.
a) Se un credente (cristiano) segue la sua coscienza ogni scelta che fa è ineccepibile dal suo punto di vista individuale;
b) Se un credente (cristiano) che dice di seguire i dettami etici del Vangelo e vuole quindi rispettare ("amare") le scelte del suo prossimo (che non si sente tutelato dall'at-tuale legge n. 40/2004), votasse "no" (o se si aste-nesse per motivi di coscienza) non sarebbe coerente con il comandamento dell'amore al prossimo. Pare che solo se vota "sì" al referendum ri-spetti le esigenze profonde del suo prossimo (che - ripeto - non si sente tutelato dalla legge 40). Qui le preferenze morali personali del votante passano in secondo piano.
c) Se un ecclesiastico (più o meno alto in graduatoria) invita i fedeli cristiani a votare "secondo coscienza", invita - praticamente - a fare una scelta personale/individuale, che non tiene conto del co-mandamento etico "comu-nitario". Il male minore!
d) Se un ecclesiastico invita i fedeli cristiani a votare secondo i dettami dell'etica del Vangelo, fa un invito di carattere comunitario, plu-ralista, di "amore al prossi-mo" e agisce nell'ambito del suo ministero.
e) Se, infine, ci fosse, malau-guratamente, un ecclesiastico che invita i fedeli cristiani ad astenersi dal voto, perché vuol far fallire il referendum, compie in atto polit-ico/propagandistico, che va contro la sua missione di "pastore" e di "ministro del Vangelo", scendendo sul piano della lotta politica. Questa scelta non è secondo l'etica cristiana del Vangelo come spiegato sopra alle lettere (b), (c), (d).

P.S. Non credo che Lei, card. Ruini, abbia fatto una dichiarazione di astensione come quella ipotizata al n. 4 sotto la lettera (e). Deve trat-tarsi di una errata e pericolosa interpretazione delle Sue pa-role da parte di qualche poli-tico senza troppi scrupoli per l'etica cristiana del Vangelo. La prego, quindi, di voler chiaramente smentire. Grazie in anticipo!

Antonio Dal Bianco
(curatore dell'edizione italiana del "Manuale di etica teologica", 4 voll., di Marciano Vidal, Cittadella Editrice, Assisi, 1994-1997).


Il mio piccolo gesto democratico

Spett.le Adista
Ho ricevuto mercoledi 1 giugno la lettera del Vicario Gene-rale Mons. Palletti alle ore 19.
Risponderò al più presto a questa missiva molto scarna e fredda.
Ribadirò la mia posizione, che non è stata altro che evi-denziare il valore morale e civile del voto, essenza della democrazia.
Invitavo i cattolici ad essere fieri dei loro principi evangelici, affrontando il confronto refe-rendario.
Senza arroganza, ripeterò che compirò questo piccolo gesto democratico, andando a votare.
Se questa mia azione sarà con-figurata grave disobbedienza al Magistero, senza erigermi a vittima accetterò, con sem-plicità, i "provvedimenti cano-nici" del caso.

don Andrea Gallo
San Benedetto al Porto, Genova

 

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"SULLA VITA NON SI VOTA". E NON SI FIATA. LA CURIA DI GENOVA MINACCIA SANZIONI CONTRO DON GALLO


32858. GENOVA-ADISTA. Non è piaciuta all'arcidiocesi di Genova la partecipazione di don Andrea Gallo alla tribuna politica referendaria (su RaiTre, lo scorso 30 maggio) a sostegno della libertà di coscienza sui referendum del prossimo 12-13 giugno: mons. Luigi Palletti, vicario generale dell'arcidiocesi di Genova, retta dal card. Tarcisio Bertone, ha scritto una lettera al sacerdote, divulgando poi un comunicato stampa, in cui lo rimprovera e lo "richiama a fare chiarezza", a "smentire" e a "rettificare pubblicamente" le sue affermazioni, minacciando "i provvedimenti canonici del caso" nei suoi confronti.
Don Gallo aveva preso parte alla tribuna politica (insieme a lui c'erano un rappresenante della Lega Nord, uno dell'Udc e una esponente del Comitato per il Sì) 'ospitato' dalla Lista Pannella, che aveva ceduto il suo spazio ai firmatari dell'appello "per il rispetto della sacralità della coscienza" promosso da Adista e sottoscritto, ad oggi, da oltre mille tra sacerdoti, suore, religiosi e laici cattolici. E in trasmissione, dopo aver correttamente spiegato che non si trovava lì in rappresentanza della Lista Pannella ma in qualità di firmatario del documento di Adista, aveva rivendicato la libertà di coscienza dei cattolici contro le imposizioni provenienti dalla Cei, senza entrare nel merito dei singoli quesiti e senza fornire alcun suggerimento di voto, contrariamente alla precisa indicazione di "non voto" del card. Camillo Ruini. Opinione interpretata dall'arcivescovo di Genova come disobbedienza al Magistero della Chiesa.
L'arcidiocesi, nel comunicato stampa, stigmatizza anche la partecipazione di don Gallo "ad una pubblica manifestazione nel territorio della diocesi di Reggio Emilia", in cui il sacerdote sarebbe stato "pubblicamente contestato a causa delle sue affermazioni". Sull'episodio fa chiarezza la stessa associazione promotrice dell'incontro (a cui ha preso parte anche il prof. Emilio Arisi, primario del reparto Ostetricia e Ginecologia dell'ospedale regionale di Trento), il Comitato di Rio Saliceto per il Sì al referendum sulla procreazione assistita: "È doveroso precisare che l'iniziativa si è svolta nella pluralità delle idee, avendo dato grande spazio a chi, durante la serata, ha ritenuto di evidenziare differenti opinioni. Ciò a dimostrazione di come il Comitato per il Sì di Rio Saliceto sia propenso all'ascolto. Pratica ignorata da altri. Ci corre l'obbligo, nel rispetto della verità, precisare che, nell'occasione, il sacerdote don Gallo si è limitato ad esprimere il valore morale e civile del voto come essenza della democrazia, invitando i cittadini, sia laici che cattolici, ad andare a votare il 12 e il 13 giugno. Questa affermazione ha disturbato quanti sostengono la posizione delle gerarchie ecclesiastiche". Prosegue il comunicato: "Rimaniamo convinti che l'importanza della serata, con la presenza in paese di don Gallo e il rumore stesso che ha destato questa presenza, sia stata positiva nell'ascoltare altre ragioni e altrettanto utile a confermare la giustezza delle nostre tesi. Non comprendiamo lo scandalo gridato da chi, in quella stessa sede, ha potuto liberamente esprimere le sue diverse convinzioni".
Di seguito pubblichiamo il comunicato dell'arcidiocesi di Genova che rende noto il contenuto della lettera inviata a don Gallo, la risposta del sacerdote e una lettera aperta di "un gruppo di credenti e non credenti della Comunità di San Bebedetto al Porto" (il sacerdote ha anche scritto una breve lettera ad Adista pubblicata nelle lettere "fuorisacco" in questo stesso numero).

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IL COMUNICATO STAMPA DELL'ARCIDIOCESI DI GENOVA


Le affermazioni, così come in questi giorni riportate dai mezzi di comunicazione, e attribuite al Sac. Andrea Gallo, circa temi inerenti alla tutela della procreazione e della vita umana e dell'obbedienza al Magistero della Chiesa, come pure precedenti esternazioni irriguardose sul compianto Giovanni Paolo II e sul nuovo Papa Benedetto XVI, hanno suscitato non poco sconcerto tra i fedeli.
Inoltre, alcuni giorni fa, invitato a prendere parte ad una pubblica manifestazione, nel territorio della diocesi di Reggio Emilia, detto sacerdote è stato anche pubblicamente contestato a causa delle sue affermazioni.
Tenuto conto della responsabilità che ogni sacerdote ha di garantire che il proprio insegnamento sia sempre conforme alla dottrina della Chiesa, e considerata la gravità delle affermazioni apparse sulla stampa, con lettera a lui personalmente inviata, si richiama il Sac. Andrea Gallo a fare chiarezza su quanto attribuitogli smentendo le notizie apparse e rettificando pubblicamente, anche a mezzo stampa, le affermazioni da lui eventualmente pronunciate o a lui erroneamente attribuite.
Considerato che detto sacerdote non è nuovo ad atteggiamenti di questo genere ma anzi è già stato richiamato per posizioni da lui assunte, se quanto sopra richiesto non avverrà prontamente nei prossimi giorni, l'Autorità Ecclesiastica si vedrà costretta a prendere i provvedimenti canonici del caso. Genova, 1 giugno 2005

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LA LETTERA DI DON GALLO AL VICARIO DELLA DIOCESI


Genova, 3 giugno 2005
Eccellenza Reverendissima,
Le dirò francamente che avrei preferito una lettera del Cardinale, mio Vescovo e mio Padre. Speravo, come vecchio, un incontro all'insegna della Carità e della correzione fraterna. Dico questo, non certo per mancanza di rispetto alla Sua Persona di Vescovo e Vicario generale, "alter ego" dell'Ordinario.
Rispondo alla Sua lettera dell'1 giugno u.s. con serenità, per nulla preoccupato dei fraintendimenti, delle false interpretazioni, delle accuse generiche, di cosiddette ester-nazioni "irriguardose" e soprattutto non mi sfiorano i provvedimenti freddamente da Lei annunciati. Conosciamo molto bene, se vogliamo essere onesti, lo "sconcerto" di certi fedeli, sempre fautori di chiusure e non di "dialogo" aperto e sincero.
Mi dispiace dover ricordarLe, ad onor del vero, che l'Arcivescovo non mi ha mai "richiamato" in merito ad analoghe posizioni, da me assunte nello specifico del referendum. Dopo la Sua sollecitazione, Eccellenza, cercherò pertanto di "fare chiarezza".
Con responsabilità presbiterale ho seguito con atten-zione l'evolversi della situazione referendaria. Dopo l'approvazione "blindata" della Legge 40/2004 era logico attendersi l'insurrezione laica. Ho riflettuto molto sui Documenti del vertice della Cei (sono abbonato all'Os-servatore Romano).
Dopo la decisione di puntare tutto sull'astensione da parte dei Vescovi, ho cominciato da marzo a meditare, pregare e riflettere. Mi sono consultato con religiosi, religiose, con tante sorelle e fratelli cristiani, con giuristi e, per amore alla Chiesa, ho cercato di portare il mio con-tributo per evitare confusioni, steccati, muri contro muri, sempre alla luce del sole.
Non ho mai sostenuto il "Comitato del Sì" e tanto meno la Lista Pannella. Ho sempre agito libero ed indipendente. A Rio Saliceto (Reggio Emilia) c'è stato un dibattito in piazza, aperto a tutti gli interventi. Quale contestazione? L'incontro è terminato tra gli applausi della stragrande maggioranza.
Inoltre ho sempre rispettato le ragioni del No. Non si può negare che la "proposta" dell'astensione, così difesa dai Vescovi, non abbia procurato "disagio" profondo anche nella vasta comunità dei credenti e tra numerosi non credenti che guardano alla Chiesa con gioiosa speranza.
Ho sempre difeso, con forza, la legittimità e il dovere pastorale della Cei di esprimersi su temi così delicati, inerenti la tutela della procreazione e della vita umana. Come portavoce di tanti cristiani ho tentato, consapevole della mia pochezza, di parlare con la mia Chiesa, pro-ponendo un comportamento d'ardimentosa chiarezza. I cattolici, dicevo, accettino con fierezza il confronto re-ferendario. Gridavo: mettiamo in campo le nostre idee, i nostri principi, forti delle indicazioni del Magistero, tastiamo il polso alla società. Il cristiano non fugge dalla storia, dalla "polis", dalla città degli uomini. Riapriamo il dialogo nelle nostre Chiese, chiedevo sommessamente, attorno al Vescovo, vicino alla Croce.
Recentemente ho sempre ricordato la prima omelia di Benedetto XVI nella Cappella Sistina, dove è stato ripreso il valore del Concilio Vaticano II. Il Concilio del dialogo, dell'apertura al mondo e alla sua laicità. Il Concilio della "Gaudium et Spes". Non commettiamo l'errore, ripetevo, di schierarci dietro le sicure "barriere" della disciplina eccle-siastica. "Non abbiate paura", dicevo col Papa. Chiedevo ai Vescovi di distinguere tra obbedienza, acquiescenza o servi-lismo. Non m'importava di essere definito ingenuo, provocatore, scandaloso. Come presbitero da 46 anni, lanciavo un grido d'amore alla Chiesa in cui credo e amo.
Non penso si voglia andare verso uno Stato teocratico. È fondamentale pertanto rispettare la divisione dei ruoli fra la Chiesa e lo Stato con le sue Leggi. Basterebbe citare l'articolo 98 del Testo Unico della Legge Elettorale, completata con la numero 352 del 1970, riguardante i referendum: "A Ministri, a prelati è vietata la propaganda astensionista". Per sintetizzare tutti i miei modesti inter-venti, vorrei citare la mia chiusura della trasmissione al Tg3 del 30 maggio u.s.: "Il genus della democrazia è il voto".
Penso sia nostro compito evangelizzare le coscienze. Non credo ci si possa riuscire cercando scorciatoie, calcoli, giustificazioni. Tra pochi giorni molti cattolici, ubbidendo all'astensione, saranno a posto con la loro coscienza. Si sentiranno dalla parte giusta perché hanno scelto la vita. Tutti gli altri che, con la loro coscienza, andranno alle urne, dovranno convincersi che sono dalla parte sbagliata? Il cardinale Tettamanzi ha affermato: "Non scomunichiamoci a vicenda". Ponendo il problema tra chi è per la vita e chi no, si fa della Legge (sempre mutabile) un assoluto e si rischia di trasformarla in verità di fede. I principi evangelici, le profonde indicazioni morali del Magistero, non cadono per un confronto elettorale.
Continuo a coltivare una visione del mondo tenera e coraggiosa e soprattutto ho imparato a tenere nel massimo rispetto l'autodeterminazione di tutte le persone, con la loro libertà di coscienza. È dottrina certa. Solamente in tempi recenti la scienza professionale ha cominciato ad interro-garsi seriamente sulla liceità di strani comportamenti, di certe gravi manipolazioni. Auspico, dopo questa fase, che si esca dalla contrapposizione cattolici-laici, che è priva di senso. Mi aspetto, con tanta speranza, un incontro fecondo tra Fede e Scienza. Tutti alla ricerca di una rigorosa regolamentazione, di una medicina calda e umana, con rispetto e reciproca fiducia.
Con tutta sincerità, non Le nascondo che andrò a votare in piena coscienza e con molta sofferenza. Confortato per aver rispettato, fin dall'inizio, gli astensionisti, senza intralciare né tanto meno boicottare la loro massiccia propaganda in tutte le Chiese.
A questo punto, mi devo considerare uno sconfitto o un perdente?
Infine, se questa mia modestissima azione democratica sarà configurata grave disobbedienza al Magistero, senza erigermi a vittima, accetterò con semplicità i "provvedimenti canonici" del caso. Rispettosamente devotissimo

don Andrea Gallo
Coordinatore della Comunità San Benedetto al Porto

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LA LETTERA DELLA COMUNITÀ DI SAN BENEDETTO AL PORTO

Molti di noi ricordano quando il cardinale Giuseppe Siri impose a don Andrea Gallo il silenzio in occasione del referendum sul divorzio. Don Gallo ubbidì. Il cardinale Siri aveva un dialogo continuo con il prete della sua diocesi. Veniva in Comunità, anche improvvisamente, per stare con i ragazzi, ascoltarli, condividere le loro esperienza difficili, sofferte, violente.
Oggi il cardinale Tarcisio Bertone parla a don Andrea Gallo attraverso gli organi di stampa. La Comunità non l'ha ancora incontrato. Eppure la Comunità è nata e vive in una canonica.
Questa nostra nota è motivata dal desiderio che è anche un invito ad amici e nemici, di esprimersi. È in gioco l'azione di don Andrea Gallo, come presbitero e come educatore. La stampa potrebbe veramente adempiere il suo primario compito di informare.
Apparteniamo al Coordinamento Comunità di Acco-glienza, fondato da preti, che nei primi anni '80 elaborò un piccolo documento, tanto breve quanto ricco e propositivo, Sarete liberi davvero. Lettera sull'emarginazione: "Vivendo a contatto con le storie 'dure' delle persone, non possiamo non essere coinvolti affettivamente e razionalmente: Di qui le grida, le forti prese di posizione, le ribellioni fondate e spesso doverose. Non è possibile permettere che chi è in difficoltà aspetti ancora, quando magari l'intera vita è stata un bisogno. All'osservazione, spesso rivoltaci, di non avere una serena e globale visione della vita e della proposta pastorale, ri-spondiamo che non possiamo averne. Perché serenità e globalità sono una meta, una 'utopia', in un mondo di arrivismi e di conflittualità mistificati. D'altronde, recente-mente, non ha forse la Conferenza episcopale italiana suggerito alla comunità ecclesiale di ripartire dai bisogni degli 'ultimi'"? (Sarete liberi davvero, p.12).
In questa vita di frontiera la Comunità di San Benedetto al Porto continua a fondare la sua metodologia educativa sul riconoscere a ciascuno le potenzialità di essere con-creatori di una prospettiva di concordia e di pace. Dio non ha creato la morte e non gode della rovina dei viventi. Proprio l'ascolto, la capacità di comprendere, la solidarietà liberatrice, sono sempre stati alla base della metodologia della nostra Co-munità, che vive sul territorio, che rispetta e si confronta con le idee di ciascuno, che propone il cambiamento non solo personale ma collettivo, per superare i nostri egoismi e privatismi.
Sappiamo quanto il cammino del cambiamento sia difficile e doloroso. Richiede una coraggiosa esplorazione della vita, dove riconoscere le nostre dipendenze suscitate da un codice di precetti e divieti che impone conformismi, certezze inossidabili, dove si è impediti di liberare verità profonde, dove separare gli elementi oscuri da quelli luminosi, dove scoprire la parte migliore di noi stessi per riprendere in mano la propria vita consapevoli di ciò che si pensa, si fa, si vuole.
Tutta l'azione di don Andrea Gallo è verificabile in questa attenzione e tensione. In Comunità abbiamo imparato ad abitare le domande. Possiamo dire che come salesiano don Gallo ha sempre seguito il metodo preventivo di don Bosco. Senza trascurare la necessaria fermezza, il suo impegno è quello di fortificare la Volontà nella persona per renderla disponibile al Bene. Ha dato e continua a dare fiducia all'intelligenza, alla sensibilità, persino a quella spiritualità, laica o di fede, che insegna ad Amare. È quotidiano il suo invito a combattere le stanchezze e gli scoraggiamenti, a non arren-dersi di fronte agli ostacoli, ad accettare l'errore, poiché proprio l'errore può illuminare la coscienza e favorire il cambiamento. In questa azione pedagogica don Andrea non si è mai lasciato tentare dall'ambizione di determinare il cambiamento con delle imposizioni, dal fare cose che potessero avere un effetto persuasivo sugli altri. La proget-tualità della sua metodologia si è sempre proposta l'avventura di una cultura che sappia attivare le coscienze.
Gli riconosciamo l'onestà di ammettere che l'attività della coscienza non è comunicabile. Poiché solo in un clima di coerenza è possibile sviluppare un'energia trasformatrice che favorisca il passaggio da condizioni di sudditanza a soggetti storici che vivono il loro tempo con i "piedi per terra e gli occhi rivolti al Cielo".
Fin dall'inizio la Comunità ha voluto essere un laboratorio di socializzazione e di ricerca di senso, per i credenti luogo teologico, per tutti scuola di democrazia in una relazione di esistenza-sofferenza delle persone con il Corpo Sociale. In questa relazione proprio i dubbi hanno suggerito nuovi e più fecondi percorsi. In questo contesto abbiamo maturato il concetto di laicità. La lettera a Diogneto è sempre stata un testo con il quale confrontarsi. Ci sconcerta sapere che ancora ci sono fedeli che fanno pressione presso il cardinale perché sanzioni il dissidente. Chi ha sempre condiviso con gli ultimi sofferenze, disagi, difficoltà, da cosa e da chi dissente?
Oggi di fronte al referendum del 12 e 13 giugno abbiamo dubbi etici, scientifici, politici. Come scegliere tra scienziati eccellenti che esprimono il Sì da quelli che esprimono il No? Come capire tra gli arrivismi e competitività partitiche? Ma i dubbi non possono essere stroncati dai divieti. Rimaniamo perplessi di fronte all'appello di un cardinale che non rimane nei limiti di consigli e suggerimenti, ma si esprime, oltre il dovuto senso della misura, con la minaccia di provvedimenti. Molto più pastorale, sarebbe a nostro avviso, se il cardinale ordinasse a don Andrea Gallo il silenzio; don Andrea ubbidirà al suo pastore, come ha sempre ubbidito. È sconfinato l'Amore di don Andrea alla sua Chiesa.
In ultimo desideriamo invitare ad una riflessione. In questo dibattito sono sorti dei profeti che vogliono farsi legislatori e dei legislatori che si spacciano profeti. Ci troviamo così tra falsi profeti e tiranni. Come laici e credenti della Comunità San Benedetto al Porto, noi speriamo che si torni a legislatori laici e ragionevoli, che i profeti si liberino dalla tentazione di imporre con la legge e i tribunali il loro Messaggio, per tornare ad avere fiducia nell'ascolto e nella coscienza!

Genova, 3 giugno 2005

Un gruppo di credenti e non credenti della Comunità di San Benedetto al Porto

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ACLI E DOCENTI CATTOLICI: ADDIO ALLA COMPATTEZZA ASTENSIONISTA

32859. ROMA-ADISTA. L'"indicazione", data dal card. Ruini ai cattolici, di non andare a votare ai referendum del 12 e 13 giugno sta incontrando un'opposizione sempre più ferma e sempre più ampia. Difficile dare conto di tutti gli appelli e documenti in cui si argomenta, al contrario, la necessità di recarsi alle urne. Uno di questi proviene addirittura dall'interno di un'associazione laicale - le Acli - che ha fatto propria la scelta dell'astensione. Ci riferiamo alle Acli-Germania che invitano "gli italiani di Germania" alla partecipazione "nello spirito del Concilio Vaticano II". Brevissimo il testo che si può leggere qui sotto. Ad esso fa seguito un appello di ex dirigenti delle Acli, che porta in calce una trentina di firme (fra di essi Geo Brenna, Franco Passuello, Fausto Tortora, Giuseppe Reburdo, Emilio Gabaglio).
Dall'ambiente universitario giunge poi un testo, "Da cattolici, contro l'astensione dalla scelta", che definisce "poco limpida", "contraddittoria" e "inopportuna" l'indicazione della Cei. Fra i sottoscrittori del documento (lo riportiamo dopo quelli di ambiente Acli) si trovano storici della Chiesa come Franco Bolgiani e p. Achille Erba, filosofi come Claudio Ciancio e Ugo Perrone, storici come Gian Giacomo Migone e Gian Carlo Jocteau (firmatario anche dell'appello pubblicato sul n. 38/05 di Adista), giuristi come Franco Balosso e Gustavo Zagrebelsky.

 

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FATE USO DEL VOSTRO VOTO

Comunicato delle Acli Germania sui referendum del 12/13 giugno


Il referendum sull'abrogazione di alcune disposizioni della legge n. 40 del 19 febbraio 2004 sulla procreazione medicalmente assistita chiamerà ad esprimersi anche i cittadini italiani residenti all'estero iscritti nelle liste elettorali.
Le Acli Germania, nello spirito del Concilio Vaticano II che nel riconoscere il ruolo e l'autonomia del popolo di Dio invitava donne e uomini a confrontarsi senza barriere ideologiche con "i segni dei tempi", invitano gli italiani di Germania a fare uso del proprio voto.
Vita, pace, libertà e democrazia sono, infatti, tutti valori irrinunciabili per la nostra associazione. Visto che nella nostra realtà d'emigrazione l'informa-zione sui quesiti referendari è stata, finora, molto scarsa, invitiamo gli elettori ad informarsi e a recarsi alle urne in piena coscienza, nella convinzione che ogni appuntamento elettorale rappresenti un momento fondamentale della vita democratica.
Le Acli Germania sono orgogliose della propria autonomia, conquistata a caro prezzo, e messa in pratica, nel corso degli anni, anche attraverso l'assunzione di posizioni scomode sulle questioni di maggiore importanza nella vita sociale e politica.
La nostra autonomia si esercita nella capacità di elaborare proposte forti e di segno inequivocabile, che rappresentano un elemento di discussione anche fra le stesse forze sociali e politiche cui le Acli si sentono più affini.
Un'associazione cristiana come la nostra non può che rivendicare, quindi, la propria autonomia dalla politica. E, tuttavia, è necessario precisare che autonomia non è sinonimo di neutralità, bensì di scelta consapevole. La disponibilità al confronto e alla collaborazione deve andare al di là delle appartenenze religiose: non è "l'attestato" di credenti che rende comuni gli obiettivi. Oggi i cristiani sono presenti in tutte le formazioni politiche, hanno interiorizzato il principio della laicità della politica e delle istituzioni, non si pongono più il problema di fare causa comune in quanto credenti, ma svolgono piuttosto un ruolo determinante di elaborazione e di proposta al fianco delle persone di cui condividono gli obiettivi.
Partecipare alla vita politica, a partire dall'esercizio del diritto di voto, è, per noi democratici e cristiani, uno degli impegni più importanti.
La presidenza Acli Germania
 

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NOI, EX DIRIGENTI E MILITANTI DELLE ACLI INVITIAMO AD ANDARE A VOTARE

Siamo "nati" alla vita civile e sociale nelle Acli. Molti di noi hanno avuto responsabilità rilevanti nell'Associazione.
Siamo stati conquistati e motivati, giovanissimi, da un sistema di valori che aveva i suoi cardini nella partecipazione alla vita della comunità e nell'autonoma assunzione di responsabilità dei laici cristiani nelle concrete scelte sociali e politiche (Costituzione conciliare "Gaudium et spes", n. 75). Ci ha motivato l'idea che fosse bene spendere le nostre vite occupandoci anche "degli altri" e non solo di noi stessi. Una convinzione che ha segnato la nostra formazione e che ci ha accompagnato in tutto il nostro percorso personale e politico.
Per questi motivi, l'indicazione della Conferenza Episcopale Italiana, fatta propria dalle Acli, di astenersi dal voto nel referendum sulla procreazione assistita, ci ha particolarmente stupito e amareggiato. Siamo stati abituati a pensare ad una Chiesa e a dei laici cristiani che si battono per promuovere i propri valori in una società pluralista, senza nascondersi dietro escamotages umilianti.
Ci hanno spiegato che l'astensione è legittima, ed in effetti non è questo in discussione; ma dubitiamo che essa sia la scelta giusta dal punto di vista etico e civile. Oltretutto, ci sembra un pessimo messaggio per le nuove generazioni, di cui si lamenta spesso il disinteresse per la cosa pubblica. Ci dicono che l'astensione non è disimpegno e fuga, ma essa non permette certo di distinguersi da coloro che non vanno a votare per apatia e disinteresse per la comunità.
Noi riteniamo che i Vescovi abbiano il dovere di richiamare i principi della dottrina cristiana, ma rivendichiamo ai singoli cristiani il diritto, nel rispetto della laicità dello Stato, di compiere le scelte che essi, in coscienza, ritengono meglio corrispondere, in un determinato momento, alle esigenze della convivenza civile.
Pur avendo, nel merito dei quesiti referendari, posizioni diverse, noi andremo a votare.


Andrea Amato, Pier Paolo Benedetti, Pinuccia Bertone, Gianna Bitto, Mariangela Bogliaccino, Geo Brenna, Francesco Calmarini, Anna Ciaperoni, Maria Coscia, Giovanna Cumino, Tom Dealessandri, Francesco De Falchi, Dolores Deidda, Antonietta De Santis, Costanza Fanelli, Marta Farinati, Toni Ferigo, Maria Filippi, Emilio Gabaglio, Maria Gallo, Renzo Innocenti, Lorenzo Loporcaro, Lucia Magnano, Anna Maria Marlia, Franco Passuello, Antonio Picchi, Carlo Pignocco, Sandra Ramadori, Giuseppe Reburdo, Lorenzo Scheggi Merlini, PierGiuseppe Sozzi, Fausto Tortora.

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DA CATTOLICI, CONTRO L'ASTENSIONE DALLA SCELTA

Appello di docenti universitari


I referendum su alcuni articoli della legge 40, che regolamenta la fecondazione assistita, mettono in gioco questioni importanti e di difficilissima soluzione, che dividono i cittadini al di là delle appartenenze politiche e confessionali e ancor più generano incertezza e confusione. Dubbi e orientamenti diversi definiscono la posizione dei firmatari del seguente appello, che sono tuttavia accomunati dalle seguenti convinzioni:
La legge 40 contiene lacune e contraddizioni in se stessa e rispetto ad altre leggi.
I referendum che si terranno il 12 giugno hanno il merito di sollevare i gravi problemi che stanno al di sotto della legge in discussione e di aprire un dibattito pubblico molto utile non solo in vista delle scelte referendarie ma più in generale riguardo ai problemi giuridici, scientifici, etici e religiosi che quelle scelte implicano.
Per questa ragione siamo contrari all'indicazione di non andare a votare. Questa indicazione è anche poco limpida, perché tende a utilizzare e a fomentare il disinteresse per le questioni in gioco sommandolo alla scelta contraria alle richieste dei referendum, tende a svilire l'istituto dei referendum e tende a favorire un atteggiamento di irresponsabilità. Inoltre, essa risulta contraddittoria rispetto al carattere di principio che si assegna alle argomentazioni usate per giustificarla. Se la scelta di non votare può essere plausibile rispetto a questioni di scarso rilievo, lo stesso non si può dire rispetto a temi che mettono in gioco principi di fondamentale importanza, quali la vita, la salute, la ricerca scientifica e i suoi limiti.
L'appello alla non partecipazione al voto, che è giunto dai vertici della Cei, è perciò inopportuno e, in particolare ai credenti, appare come un'incomprensibile e ingiustificata pretesa della gerarchia ecclesiastica di dettare norme che riguardano non i principi e gli orientamenti di fondo ma il dettaglio e le tecniche dei comportamenti politici.
Pur consapevoli della difficoltà delle scelte e forse dell'insuperabilità di alcuni dubbi, invitiamo perciò tutti, credenti e non credenti, a maturare una scelta meditata e ad esprimerla con il voto.

Franco Balosso, Fiorella e Luciano Bassignana, Toni Begani, Franco Bolgiani, Cristina e Giuseppe Bordello, Stefano Brusasco, Melita Cataldi, Claudio Ciancio, Renata e Franco Camoletto, Piero Degennaro, Stefania Di Terlizzi, padre Achille Erba, Carla Fantino, Elisabetta Galeotti, Marzio Galeotti, Giovanna Gambarotta, Eugenio Gili, Antonietta Guadagnino, Gianna Guelpa, Gian Carlo Jocteau, Dora Marucco, Gian Giacomo Migone, Mario Mosca, Laura Operti, Gabriella Orefice, Maurizio Pagano, Anna Pelloso, Ugo Perone, Franco Peyretti, Narinella Poggi, Katie Roggero, Mario Rosa, Ugo Gianni Rosenberg, Luciana Ruatta, Stefano Sciuto, Adriana Stancati, Angela Suppo, Gino Tedone, Domenico Todisco, Paolo Torreri, Rosanna Tos, Alberto Tridente, Federico Vercellone, Anna Viacava, Gustavo Zagrebelsky.

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SÌ, NO, NON SO, PURCHÉ SI VOTI. IL DOCUMENTO DEI VALDESI

32860. ROMA-ADISTA. Fulvio Ferrario, Daniele Garrone, Ermanno Genre, Martin Hirzel e Yann Redalié, professori della Facoltà Valdese di Teologia di Roma, hanno reso noto, il 3 giugno scorso, un documento in cui prendono posizione sulla necessità di andare a votare agli imminenti referendum sulla procreazione assistita. "Il sì, il no, o la scheda bianca depositati nell'urna sono diventati del tutto secondari, ciò che è decisivo è invece chi va o non va a votare", scrivono. Proprio per questo, "è doveroso andare a votare". Di seguito il testo da loro sottoscritto.


Impegnati da tempo nel dialogo ecumenico ed interreligioso ci sembra importante dire con franchezza perché non possiamo accogliere il pressante invito della Cei, rivolto certo in primis ai cattolici, ma anche a tutti i cristiani e a tutti i cittadini di questo paese, a non andare a votare i 4 referendum relativi alla legge 40/2004 sulla fecondazione assistita, il 12 e 13 giugno 2005.
Sulla materia oggetto dei quesiti referendari la nostra Chiesa non ha assunto alcuna posizione ufficiale, certo non sono mancate significative prese di posizione a favore dei referendum abrogativi, ma le posizioni non sono unanimi (si veda il dossier del settimanale Riforma del 27.05.05). Come in altre simili occasioni, per la formazione della propria convinzione si è preferito privilegiare un dibattito largo e approfondito e un libero confronto su argomenti così essenziali e delicati.
Su un punto però riteniamo doveroso intervenire, cioè sulla decisione libera e personale presa in coscienza da ciascuno, cardine dell'espressione democratica, che nei nostri sistemi elettorali viene garantita dalla segretezza del voto. Qui non è in discussione la legittimità dell'astensione o del non voto; invitare all'astensione è pienamente legittimo dal punto di vista della legge. La questione di fondo è però un'altra: essa concerne l'esercizio della libertà di esprimere la propria personale opinione.
La campagna che si è sviluppata nelle ultime settimane da parte della Cei, sia attraverso i media sia attraverso una mobilitazione capillare nelle parrocchie, ha spostato il luogo della decisione fuori dalla cabina di voto. Infatti, se il significato del non voto rimane ambiguo - può essere motivato dall'indifferenza totale oppure dalla convinzione più forte -, l'andare a votare, atto palese, pubblico e non garantito dal segreto, si carica di un significato chiaro di disubbidienza all'autorità ecclesiastica (o almeno di non raccogliere l'invito pressante della gerarchia cattolica).
Il sì, il no, o la scheda bianca depositati nell'urna sono diventati del tutto secondari, ciò che è decisivo è invece chi va o non va a votare. E questa situazione in un paese dove la presenza della Chiesa cattolica è capillare, e tante persone ne dipendono per il loro lavoro quotidiano, rappresenta una pressione notevole, tale da poter provocare autocensura.
Dialogare in un libero e leale confronto ideale, convincere e farsi convincere, e lasciare poi la piena libertà di espressione della propria convinzione: tale è l'invito che vorremmo rivolgere a tutti quelli che hanno una posizione da fare valere nel dibattito. Anche per questo motivo fondamentale, per noi è doveroso andare a votare sui quesiti referendari il 12 e 13 giugno".

Roma, 3 giugno 2005

 

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BENEDETTO XVI SOSTIENE LA CAMPAGNA ASTENSIONISTA DEL CARD. RUINI

32861. ROMA-ADISTA. Nel suo discorso rivolto ai vescovi italiani la mattina del 30 maggio, dopo l'apertura in Vaticano della 54.ma assemblea generale della Cei, Benedetto XVI non ha fatto mancare il suo sostegno alla linea del card. Ruini, anzi si è talmente esposto nel suo discorso da pronunciare a braccio frasi che poi la sala Stampa della Santa Sede, nel diffonderne la versione ufficiale (bollettino del 30/5), non ha riportato. Frasi che hanno peraltro sollevato rumorosi applausi, come testimonia chiaramente la cronaca radiofonica di Radio Vaticana (Radiogiornale delle 14,30). Per esempio, laddove Ratzinger si congratula con i vescovi per il loro impegno "in merito alla legge sulla procreazione assistita", dice che "proprio nella sua chiarezza e concretezza" esso "è segno della sollecitudine di veri pastori buoni" (corsivo redazionale), i quali però, nel documento ufficiale, perdono i loro attributi di "veri" e "buoni" per diventare più asetticamente "pastori". Subito dopo il papa aggiunge: "vi sono vicino con la parola e con la preghiera, confidando nella luce e nella grazia dello Spirito che agisce nelle coscienze e nei cuori. E qui non lavoriamo per interessi cattolici, ma sempre per l'uomo, Creatura di Dio" (corsivo redazionale) - altra frase introvabile nel documento ufficiale, anch'essa seguita da "applausi". Il tutto in perfetta consonanza con la Prolusione del card. Ruini all'apertura della 54.ma Assemblea generale della Cei (Roma. 30-31 maggio, un'assemblea lampo, di soli due giorni rispetto ai cinque tradizionali).
"Non ci muovono interessi di parte, fosse pure la parte cattolica", dichiara il presidente della Cei, dopo aver ribadito che la linea dell'astensione non è una "scelta di disimpegno" ma l'unica valida per impedire il raggiungimento del quorum: "Non entriamo in competizioni di partiti, ci preoccupiamo unicamente, e concretamente, di quella difesa e promozione dell'uomo che è parte integrante dell'annuncio del Vangelo", assicura il cardinale, anche se poi nella sua prolusione parla di "orientare" , "spingere in una certa direzione" ecc.
Questa terminologia, spiega sul Corriere della Sera (1/06) un teologo che lavora per la Cei, rientra nella categoria delle indicazioni "prudenziali", le quali non esprimono un "obbligo" ma conciliano elementi dottrinali con valutazioni pratiche.
Lo stesso tipo di prudenza usata, ad assemblea conclusa, da mons. Giuseppe Betori (che Ruini ha appena riconfermato nel suo incarico di segretario della Cei) nel commentare la decisione di quei cattolici, in vistoso aumento, che annunciano di andare a votare sentendosi legittimati dalle stesse parole del papa, che, in un passaggio del suo discorso, aveva elogiato i vescovi "impegnati a illuminare le scelte dei cattolici", come se in tal modo affermasse la possibilità di più scelte. "Siamo perplessi - ha detto Betori - di fronte a chi pensa che le parole del papa siano di sostegno ai vescovi, ma contemporaneamente permettano di disattendere le indicazioni dei vescovi. Qui ci fermiamo - ha però aggiunto - e non esprimiamo nessun giudizio". Un'altra indicazione prudenziale, appunto.
Di seguito i passaggi riservati sulla procreazione assistita nei discorsi del pontefice e del presidente della Cei.

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BENEDETTO XVI: QUESTI BUONI VESCOVI ITALIANI

"(...). Una questione nevralgica, che richiede la nostra più grande attenzione pastorale, è quella della famiglia. In Italia, ancor più che in altri Paesi, la famiglia rappresenta davvero la cellula fondamentale della società, è profondamente radicata nel cuore delle giovani generazioni e si fa carico di molteplici problemi, offrendo sostegno e rimedio a situazioni altrimenti disperate. E tuttavia anche in Italia la famiglia è esposta, nell'attuale clima culturale, a molti rischi e minacce che tutti conosciamo. Alla fragilità e instabilità interna di molte unioni coniugali si assomma infatti la tendenza, diffusa nella società e nella cultura, a contestare il carattere unico e la missione propria della famiglia fondata sul matrimonio. Proprio l'Italia poi è una della nazioni in cui la scarsità delle nascite è più grave e persistente, con conseguenze già pesanti sull'intero corpo sociale. Perciò da molto tempo voi Vescovi italiani avete unito la vostra voce a quella di Giovanni Paolo II, anzitutto nel difendere la sacralità della vita umana e il valore dell' istituto matrimoniale, ma anche nel promuovere il ruolo della famiglia nella Chiesa e nella società, chiedendo misure economiche e legislative che sostengano le giovani famiglie nella generazione ed educazione dei figli. Nel medesimo spirito siete attualmente impegnati a illuminare e motivare le scelte dei cattolici e di tutti i cittadini circa i referendum ormai imminenti in merito alla legge sulla procreazione assistita: proprio nella sua chiarezza e concretezza questo vostro impegno è segno della sollecitudine dei Pastori per ogni essere umano, che non può mai venire ridotto a un mezzo, ma è sempre un fine, come ci insegna il nostro Signore Gesù Cristo nel suo Vangelo e come ci dice la stessa ragione umana. In tale impegno, e in tutta l'opera molteplice che fa parte della missione e del dovere dei Pastori, vi sono vicino con la parola e con la preghiera, confidando nella luce e nella grazia dello Spirito che agisce nelle coscienze e nei cuori.
La stessa sollecitudine per il vero bene dell'uomo che ci spinge a prenderci cura delle sorti delle famiglie e del rispetto della vita umana si esprime nell'attenzione ai poveri che abbiamo tra noi, agli ammalati, agli immigrati, ai popoli decimati dalle malattie, dalle guerre e dalla fame. Cari fratelli Vescovi italiani, desidero ringraziare voi e i vostri fedeli per la larghezza della vostra carità, che contribuisce a rendere concretamente la Chiesa quel popolo nuovo nel quale nessuno è straniero. Ricordiamoci sempre delle parole del Signore: quello che avete fatto "a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" (Mt 25, 40). (...)".

 

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CARD. RUINI: NESSUN DISIMPEGNO NÉ INTERESSE DI PARTE


"(...) È ormai molto vicino il referendum riguardante la procreazione assistita. La nostra posizione in merito è nota ed è quella indicata anche dal Comitato "Scienza & Vita": siamo cioè per una consapevole non partecipazione al voto, che ha il significato di un doppio no, ai contenuti dei quesiti sottoposti a referendum, che peggiorano irrimediabilmente e svuotano la legge, riaprendo in larga misura la porta a pericolosi vuoti normativi, e all'uso dello strumento referendario in una materia tanto complessa e delicata. Non si tratta dunque in alcun modo di una scelta di disimpegno, ma al contrario di opporsi in maniera netta ed efficace a una logica che - a prescindere dalle intenzioni dei suoi sostenitori - mette in pericolo i fondamenti umani e morali della nostra civiltà.
Il dibattito che si è sviluppato in queste settimane ha avuto il merito di evidenziare che in concreto l'unica via per opporsi effettivamente al peggioramento della legge è quella della non partecipazione al voto, mentre il votare no, dato che contribuisce al raggiungimento del quorum, di fatto è un aiuto, sia pur involontario, ai sostenitori del referendum.
Non rinunciamo a sperare in un dibattito che non eluda troppo marcatamente la vera posta in gioco e in un'informa-zione che rappresenti in maniera sufficientemente equilibrata le posizioni che sono davvero in campo.
Osiamo inoltre chiedere a tutti di valutare con serenità anche le ragioni di noi Pastori. Non ci muovono interessi di parte, fosse pure la parte cattolica. Non entriamo in competizioni di partiti, ma ci preoccupiamo unicamente, e concretamente, di quella difesa e promozione dell'uomo che è parte integrante dell'annuncio del Vangelo. Non siamo contro la scienza e i suoi progressi: al contrario, ammiriamo e sosteniamo i frutti della ricerca e dell'intelligenza, che è il segno dell'immagine di Dio nell'uomo. Vogliamo dunque che la scienza sia al servizio del bene integrale dell'uomo: non si tratta, pertanto, di arrestare od ostacolare il cammino della scienza, ma di orientarlo in modo che esso non perda di vista il valore e la dignità di ogni essere umano. Spingono in questa direzione non soltanto fondamentali ragioni etiche, ma anche un evidente principio di precauzione, che deve trovare applicazione anzitutto quando si agisce direttamente sulla vita umana. Solo così si avranno sicuri vantaggi, e non pericoli, anche per la nostra salute. Ci muove dunque non l'indifferenza o l'insensibilità, ma l'amore sincero per ogni donna e ogni uomo.
Le notizie, che giungono a intervalli sempre più ravvicinati, di sperimentazioni condotte sugli embrioni a prescindere dal loro carattere umano, confermano la necessità di norme che regolino questa materia in rapido sviluppo: senza di esse arriveremo, probabilmente prima del previsto, a risultati che suscitano orrore e paura. Esistono invece alternative precise, come quelle basate sulle cellule staminali ottenute senza sopprimere embrioni, che hanno già dato, a differenza dalle altre, risultati clinici concreti: al loro ulteriore sviluppo proprio la ricerca italiana, se adeguatamente sostenuta, può oggi fortemente contribuire.
Sono di buon auspicio, in un simile contesto, sia la grande consapevolezza, unità e impegno di cui stanno dando prova i cattolici italiani, in sintonia con un orientamento che è della Chiesa universale, sia il moltiplicarsi di voci autorevoli, delle più diverse competenze e matrici culturali, che si esprimono con chiarezza e forza argomentativa per il rispetto della vita umana e del diritto dei figli a conoscere i propri genitori. Queste voci interpretano certamente il sentire profondo di tanti italiani.
A tutti, anche a coloro che contestano più duramente le nostre posizioni e il nostro stesso diritto e dovere di esprimerci in questa materia, vorremmo dire che non ci può essere un futuro positivo e accettabile se si perde l'unità di misura della vita umana. Siamo dunque certi, con il nostro attuale impegno, di non essere dei sorpassati, ma di far parte invece di coloro che lavorano per il futuro. (...)".

 

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DAL FRONTE DEI CATTOLICI DISOBBEDIENTI. LETTERA DI ADISTA A "REPUBBLICA"

32862. ROMA-ADISTA. "Dov'è finito il cattolico disobbediente?", si chiede Gad Lerner dalle colonne di Repubblica (3/6), mettendo a confornto il dissenso cattolico che si mobilitò a favore del divorzio nel 1974 con la reazione dei cattolici di fronte alla posizione assunta dalla Conferenza episcopale italiana sui referendum del 12 e 13 giugno. "Sulla indicazione di boicottaggio del referendum - sostiene Lerner - dalla galassia cattolica italiana non giunge certo l'eco di discussioni appassionate, prevalendo semmai una disciplina frammista a un diffuso torpore. Imbarazzante diviene così il paragone col tumultuoso, appassionato dibattito che scuoteva le associazioni cattoliche e le parrocchie in quel fatidico 1974. Altro che la calma piatta nelle Acli, nella Cisl, nell'Azione Cattolica del 2005!".
Altri tempi, racconta Lerner: quelli, scrive, delle 92 firme in calce all'appello rivolto ai democratici di fede cristiana, sottoscritto dai grandi esponenti del cattolicesimo democratico che "vent'anni dopo avrebbero progettato l'esperienza politica dell'Ulivo". E questo senza che i "dissenzienti" potessero trovare sponde dentro la Dc, poiché la sinistra democristiana aveva "fornito unanime i suoi voti, nella direzione di piazza del Gesù, alla temeraria crociata di Fanfani". Accanto a quell'appello, fiorirono anche "prese di posizione dei cristiani più impegnati sul fronte del lavoro e della giustizia sociale": dirigenti della Cisl e aclisti come Emilio Gabaglio che, ricorda Lerner, scriveva di aver imparato, da cristiano, che "la fede non si impone, ma si testimonia".
Rispetto a quei tempi, domanda Lerner, "qualcuno riesce a immaginarsi prese di posizione altrettanto vigorose dentro la Cisl di Savino Pezzotta o dentro le Acli di Luigi Bobba? Beato chi si accontenta di rispondere: meglio così, vuol dire che oggi i cattolici italiani sono compatti, tranne poche eccezioni, sulla linea del cardinale Camillo Ruini". Del resto, continua il giornalista dell'"Infedele", se "le liste di sacerdoti che andranno a votare pubblicate dall'agenzia Adista risultano striminzite", allo stesso modo, però, "neppure si potrà sostenere che nelle parrocchie si mobiliti una campagna appassionata per l'astensione".
Insomma, quello che abbiamo davanti è un panorama ecclesiale "cloroformizzato" che dovrebbe indurre anche Ruini "ad evocare con rimpianto la realtà effervescente del 1974". Al processo di secolarizzazione della società, alla riduzione del numero delle parrocchie e delle diocesi, si accompagna per Lerner una crisi di vitalità del cattolicesimo italiano. A partire dalle associazioni storiche del laicato cattolico, "pacificate in superficie", ma nel fondo, "anche molto più vuote". Così, conclude il giornalista, "trentuno anni dopo sarà pure tornato il tempo dell'obbedienza", ma "appare un tempo più sordo, un tempo di sconfitta spirituale".
Chiamata in causa direttamente nell'articolo di Lerner, la redazione di Adista ha risposto con alcune considerazioni inviando a "la Repubblica" ("Lettere" ad Augias) la lettera che pubblichiamo di seguito *.



Sollecitati dall'articolo di Lerner del 2 giugno ("Dov'è finito il cattolico disobbediente"), le inviamo qui di seguito l'appello promosso da Adista contro l'equiparazione compiuta dalla Cei tra "cattolici coerenti con la loro fede" e cattolici 'astensionisti'.
Ma soprattutto la invitiamo a leggere tra le righe di oltre 1.000 firme che a prima vista le potrebbero risultare 'anonime', eccezion fatta per qualche nome noto che pure vi troverà. Sono sacerdoti, suore, religiosi e religiose, teologi e teologhe, nonché laici cattolici che spesso provengono da esperienze associative importanti come Azione Cattolica, Fuci, Agesci, Acli: è quella parte di mondo cattolico che ancora si spende per riaffermare il proprio diritto a pensare, ad argomentare nell'agone pubblico, ad avere una coscienza critica non omologabile in un'appartenenza, e a votare infine al referendum in modo conseguente a questa stessa libertà di coscienza. È quella parte di mondo cattolico che soprattutto si ribella a quel corto circuito che fa di una fede immediatamente un'etica, poi un diritto, poi una religione civile e ora addirittura una tattica elettorale.
Questo mondo cattolico sente, innanzitutto, e poi anche considera la fede una ulteriorità che si pone a garanzia della libertà dell'esistenza umana contro ogni 'vitello d'oro', ulteriorità che interroga l'etica e il diritto, e che solo attraverso la laicità può interagire con la politica.
Certo, non ci sono i leader attuali del laicato cattolico in questa lista di firme, e sarà pure vero che il numero di sacerdoti risulta "striminzito", come dice Lerner.
Vorremmo però ricordare due semplici fatti: 1) per ogni sacerdote che firma bisogna considerare che è un sacerdote che sfida provvedimenti quali quello piovuto addosso a don Gallo solo per aver firmato e poi difeso l'appello stesso in Tv (nella lettera inviatagli, l'arcivescovo di Genova lo minaccia praticamente di sospensione a divinis, v. numero di Adista in uscita); 2) risultano firmatari solo gli aderenti e i quadri locali delle organizzazioni cattoliche, semplicemente perché da esattamente 20 anni, ovvero dopo la defe-nestrazione nell'85 del cardinale Ballestrero, sostituito alla guida della Cei prima dal più 'affidabile' card. Poletti e poi dall' 'affidabilissimo' card. Ruini, il laicato cattolico italiano è stato sistematicamente 'resettato' ai vertici per essere funzionale all'obbedienza tout-court, soprattutto nelle 'grandi occasioni'; così come non è un caso che tra i firmatari risultino ex dirigenti nazionali formatisi appunto alla scuola della laicità del dopo Concilio.
Ciò non giustifica l'acquiescenza supina, nelle dichiarazioni ufficiali, di associazioni cattoliche che pure formano al proprio interno al discernimento critico (di qui la condotta diversa degli aderenti disseminati nelle diocesi italiane), ma nell'analisi occorre tenere conto del fatto che nella Chiesa cattolica la gerarchia non è un optional, e che il modo di intendere e di gestire la gerarchia sortisce due Chiese diverse, due diverse anime del mondo cattolico: quella conciliare o quella clericale. Solo che a forza di obbedire - non per scelta, come dice Cesana, ma per consuetudine o per prudenza se non per timore - è venuta meno la passione argomentativa, la voglia di dialogo, la tensione spirituale. Perché confrontarsi con gli altri, con i diversi da me, se la 'fede' mi fornisce subito una linea di condotta? A che serve la laicità della mediazione politica?
E l'indifferenza regna sovrana: in fondo astensione è più di una tattica, ormai è un logo della Chiesa italiana.
Le chiediamo perciò, caro Augias, di dare voce a questa parte del mondo cattolico, non solo perché si mobilita contro l'astensione ad un referendum, ma anche perché con questa mobilitazione riafferma la propria volontà di uno Stato laico, dove i punti nodali della vita comune possano essere regolati da un processo condiviso, sia pur conflittuale a volte sui singoli contenuti.
Grazie per l'attenzione
la redazione di Adista


* Questa lettera è stata inviata anche a Gad Lerner

 

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IL 70% DELLE COPPIE CHE RICORRONO ALLA PROCREAZIONE ASSISTITA È CATTOLICO. UN'INDAGINE PRESSO I CENTRI MEDICI


32863. ROMA-ADISTA. Chi è che oggi, in Italia, ricorre alla fecondazione assistita, circoscritta nei limiti della legge 40? Alla vigilia del voto referendario, se lo chiede un'indagine condotta da tre associazioni di pazienti analizzando le schede di 500 coppie pervenute da 5 centri medici distribuiti in tutta Italia. E la risposta può sorprendere solo chi è ormai lontanissimo dalle esigenze e condizioni reali delle coppie che vogliono avere figli: il 70% delle coppie (336 su 500) che ricorrono alla procreazione medicalmente assistita (Pma) si dichiara credente, di queste ben 291 (il 58%) frequenta in qualche misura la Chiesa e quelle che praticano regolarmente sono 47 (il 9,5%).
Si tratta di un dato che non deve stupire, secondo Filomena Gallo, cattolica e praticante, nonché presidente dell'associazione "Amica Cicogna", tra le promotrici della ricerca insieme a "Cerco un bimbo" e al sito www.unbambino.it: "è proprio in coloro che hanno una visione tradizionale della famiglia e che pensano al momento procreativo come momento centrale della vita matrimoniale che la filiazione biologica assume un'importanza fondamentale e dà senso alla vita di coppia".
Un'altra testimonianza dello "scollamento delle gerarchie ecclesiastiche dalla vita quotidiana dei fedeli", commenta Federica Casadei, presidente di "Cerco un bimbo". Scollamento che non avviene però in maniera del tutto indolore: se il 68% delle coppie non ha avvertito un vero e proprio "conflitto" al momento di dover ricorrere alla Pma, questo è il caso però per il 19% delle coppie e per 20 di queste esso è stato "molto forte".
I timori di carattere etico-religioso però non mancano: il 20% delle coppie intervistate vive nell'incertezza se l'embrione sia 'vita' già dal primo istante; il 9,5% teme di infrangere un divieto di carattere religioso e il 7,2% addirittura di "sostituirsi alla divinità". Ma sono importanti anche i timori 'laici' di chi ha paura di vedere violata la propria privacy (30%) e di quanti (un altro 30%) si interrogano sulla correttezza del "forzare la natura" per avere un figlio a tutti i costi. Segno di scelte che non vengono compiute in maniera irresponsabile, all'insegna del tanto citato Far West, ma testimonianza allo stesso tempo di una tenace difesa della libertà delle proprie coscienze. Tuttavia si registrano ancora, soprattutto tra i cattolici, dubbi e resistenze, dovuti, secondo Angelo Gabriele Ajello di unbambino.it, a quella che viene percepita come una vera e propria aggressione da parte delle campagne antireferendarie che per queste coppie diventa un vero e proprio linciaggio morale.

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ALICI COME PRIMA. RISPETTATI I PRONOSTICI SULLA SCELTA DEL NUOVO PRESIDENTE DELL'AZIONE CATTOLICA


32864. ROMA-ADISTA. Alla fine, come era ampiamente previsto (v. Adista n. 35/05), alla presidenza nazionale dell'Azione Cattolica è stato designato Luigi Alici. Il Consiglio permanente della Conferenza Episcopale Italiana, riunitosi nel pomeriggio del 31 maggio per esaminare la terna di candidati proposta dal Consiglio Nazionale di Ac (oltre ad Alici, c'erano Ernesto Preziosi e Franco Miano), ha optato per colui che da tempo veniva ormai considerato una sorta di presidente in pectore, ed era comunque il candidato che aveva ottenuto il maggior numero di consensi per la successione di Paola Bignardi.
Alici, 55 anni, docente di filosofia morale all'Università di Macerata, è un dirigente stimato dentro l'associazione, rimasto però sempre piuttosto defilato sui temi che hanno infiammato il dibattito interno all'Ac degli ultimi mesi (anche se non viene considerato tra i supporter della linea espressa dalla presidenza uscente). Per la Cei Alici era probabilmente, tra i nomi della terna, il candidato che offriva maggiori garanzie: in virtù della sua prudenza, del fatto che, insieme alla Bignardi e a Preziosi, aveva aderito tra i primi al Comitato "Scienza e Vita" per l'astensione ai referendum sulla procreazione assistita, ma anche dei tanti incarichi ecclesiali già ricoperti su designazione della Cei. Alici è infatti membro del Gruppo di lavoro del Progetto culturale promosso dalla Chiesa Italiana, del Comitato scientifico-organizzatore delle Settimane sociali dei Cattolici italiani e di quello che sta preparando il IV Convegno della Chiesa Italiana che si svolgerà a Verona (Alici ha già partecipato all'organizzazione del Convegno di Palermo del 1995).
Gli auguro che l'esperienza che inizia oggi "possa trasformarsi per lui ogni giorno in una bella avventura di fraternità, di creatività, di dedizione vissuta insieme", ha detto la presidente uscente Paola Bignardi passando le consegne al suo successore.
"Accolgo la designazione del consiglio nazionale e la chiamata dei vescovi a presiedere l'Azione Cattolica Italiana nel segno della gratitudine, della speranza e della corresponsabilità", ha detto Alici subito dopo aver ricevuto la notizia della sua elezione. Alici ha quindi definito l'Ac "immersa ma non sommersa nel mondo", "rispettosa della legittima autonomia delle realtà terrene", e ne ha individuato il compito nel "continuare a levare alta e libera la sua voce in difesa dei valori irrinunciabili della vita, della persona, della pace e del bene comune, sanciti anche dalla nostra Carta costituzionale, e ad immettere nel tessuto vivo della società italiana benefici fermenti di fraternità virtuosa".

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RICUCIAMO LA COSTITUZIONE! PARTE LA CAMPAGNA CONTRO LO SMEMBRAMENTO DELLA CARTA PROGETTATO DAL CENTRODESTRA

32865. ROMA-ADISTA. Un milione di firme per bloccare la "controriforma" della Costituzione; il 2 giugno, festa della Repubblica, trasformato in "Giornata per la Costituzione Italiana"; un enorme drappo colorato, formato da pezzi di stoffa firmati dai cittadini e cuciti insieme, come metafora dell'appello a "ricucire la Costituzione". Con queste iniziative Cittadinanzattiva e la Tavola della Solidarietà presentano la nuova campagna "Ricuciamola!" - a cui ha aderito anche Magistratura Democratica - in difesa della Costituzione italiana, "figlia della Liberazione e dello spirito unitario dell'Assemblea costituente".
Dopo 60 anni, si legge nel comunicato, "non siamo contrari per principio alla riforma". Ma bisogna opporsi ad "un uso della Costituzione a fini elettorali e politici": "una Costituzione deve trascendere i conflitti della politica partitica. Non può essere di destra o di sinistra né diventare oggetto di scambio a fini elettorali".
Ma, al di là del metodo, "Ricuciamola!" contesta anche i contenuti della riforma costituzionale che il centrodestra sta portando avanti in Parlamento a colpi di maggioranza: "L'approvazione, il 23 marzo scorso, in terza lettura della riforma della II parte della Costituzione ed i cambiamenti introdotti in ben 50 articoli a colpi di maggioranza mette in pericolo le basi comuni del nostro ordinamento democratico, mina alle radici la dimensione universalistica dei diritti dei cittadini, incrina il principio solidaristico in base al quale si cementa una comunità, mette a repentaglio il congegno di contrappesi e garanzie che sono il fondamento di un buon sistema democratico".
Devolution e premierato sono i temi che destano maggiori preoccupazion: la prima, spiegava Teresa Petrangolini, segretario generale di Cittadinanzattiva, in un'intervista ad "Avvenire" dello scorso ottobre, "mette a rischio i diritti dei cittadini, quelli alla salute e all'istruzione, minacciati da un 'federalismo spinto'" mentre la "partecipazione attiva e democratica" dei cittadini è "messa all'angolo da un 'premierato forte'".
Per tutelare e rafforzare il "tessuto costituzionale", invece, i promotori della campagna invocano una riforma che porti ad un "ampliamento degli spazi democratici", elaborata magari da una Assemblea costituente, "realmente rappresentativa di tutte le voci che animano la vita democratica di un Paese", piuttosto che da un gruppo di esperti. È necessario che le garanzie, i principi e i diritti sanciti nella prima parte della nostra Carta siano riaffermati con forza e siano previsti "criteri di incompatibilità tra ruoli di governo a tutti i livelli territoriali, e posizioni dominanti nel settore economico e, in particolare, dell'informazione".

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VOGLIAMO BEPPE GRILLO ALLA PRESIDENZA DEL WTO! LA CANDIDATURA ANTILIBERISTA DI TRADEWATCH

32866. ROMA-ADISTA. Per chi ritiene che la Banca Mondiale e l'Organizzazione Mondiale del Commercio siano istituzioni non riformabili, le nomine alla guida dei due organismi di Paul Wolfowitz e Pascal Lamy rappresentano la ciliegina sulla torta. Il "superfalco" Paul Wolfowitz, già viceministro della Difesa Usa e strenuo difensore degli interessi nordamericani, ha assunto la guida della Banca Mondiale il primo giugno, subentrando a James Wolfenson, considerato invece un uomo aperto al dialogo (sia con i difensori che con i detrattori della globalizzazione, con governi e con ong) e più attento ai temi della lotta alla povertà e della salvaguardia ambientale: un'attenzione che si è concretizzata, durante la sua gestione, in una riduzione dei finanziamenti alle grandi opere di infrastruttura, come le dighe.
Appena insediatosi alla presidenza della Banca Mondiale, Wolfowitz ha mostrato di avere le idee chiare, aprendo alla possibilità di rivedere le modalità di prestito ai Paesi emergenti, primi fra tutti Cina e India, e sostenendo la necessità di rivolgere nuovamente l'attenzione al settore, ben più redditizio, delle infrastrutture. "La storia ci insegna - afferma Antonio Tricarico, coordinatore della Campagna per la riforma della Banca Mondiale - che l'amministrazione Usa si è ricordata della Banca Mondiale quando ne aveva bisogno per i suoi propri interessi, non certo per quelli dei poveri del mondo". E oggi l'interesse è quello di "avere voce in capitolo nella crescita delle nuove potenze del Sud, a partire dalla tanto temuta Cina". Di fatto, ha concluso Tricarico, "un Wolfowitz che negozia con le potenze emergenti del Sud del mondo fa preconizzare una nuova Yalta economica, in un momento di preoccupazione per gli indicatori economici squilibrati dell'economia americana. I poveri del mondo c'entrano ben poco in questa storia, che potrebbe risolversi nel perpetuare lo stesso fallimentare modello di sviluppo che abbiamo conosciuto negli ultimi decenni. Che l'Europa si svegli per non essere connivente, prima di essere marginalizzata anche nelle istituzioni di Bretton Woods".
Sul fronte dell'Organizzazione Mondiale del Commercio (Wto), l'Europa è, però, ben più che connivente, come mostra l'operato del neodirettore generale dell'organismo, l'ex commissario europeo al Commercio Pascal Lamy. Come si legge in un comunicato di Tradewatch, l'Osservatorio sul commercio internazionale, Lamy è "il principale responsabile del fallimento dei negoziati" al vertice di Cancun, nel settembre del 2003, per la sua completa chiusura rispetto alle richieste del Sud del mondo: "Lamy è lo stesso che diceva di non voler aprire il mercato europeo dell'acqua e della fornitura dei servizi idrici alla concorrenza straniera, mentre, nello stesso tempo, chiedeva a molti dei Paesi più poveri del pianeta di aprirsi alle multinazionali europee".
Per questo, all'ultraliberista Lamy, Tradewatch aveva opposto il suo candidato ideale alla carica di direttore generale del Wto: il comico Beppe Grillo, in virtù della sua "attenzione e competenza riguardo all'ambiente, ai problemi economici e finanziari, alle innovazioni in economia, alle politiche di consumo critico". "In un club di ossessionati dal libero commercio - spiegava Tradewatch - c'è bisogno di un comico per tornare ad essere seri e guardare lontano, proteggendo l'ambiente ed i diritti fondamentali di tutti sull'unico pianeta che abbiamo". Una candidatura che Grillo ha accettato immediatamente, prestandosi "volentieri" a "fare da detonatore a questa provocazione": "le mie chance di convincere Bush e Chirac", ha scritto in una lettera aperta, "non sono altissime. Sono invece migliori le mie chance di convincere molta gente a porsi qualche domanda sulle cose che compra e che sono dettate dalle attuali regole del commercio mondiale: perché dobbiamo mangiare cibi contaminati da organismi modificati geneticamente senza avere il diritto di saperlo, se la contaminazione è meno dello 0,9%? Perché a Genova costa meno fare il pesto con il basilico del Vietnam che con quello ligure? Perché nel bergamasco la polenta si fa con il mais argentino, ma nessuno ce lo dice? Come mai un litro di petrolio costa la metà di un litro di acqua minerale?".
Se, conclude Grillo, "chi governa il commercio mondiale ha creato una situazione dai risvolti tragici e comici, allora anche un comico può portare il suo contributo".

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IL NO ALLA COSTITUZIONE EUROPEA PER UN SÌ AD UNA SOCIETÀ PIÙ SOLIDALE

32867. ROMA-ADISTA. Non un rifiuto dell'Europa, ma un rifiuto di questa Europa, di un'Europa-fortezza dei tecnocrati e dei mercanti, del neoliberismo, del pensiero unico. È in questa prospettiva che il movimento altermondialista considera una buona notizia la vittoria, in Francia e ancora più nettamente in Olanda, del no al Trattato costituzionale europeo: la valanga di no, si legge nei commenti, racchiude la possibilità di un'inversione di rotta, di un ripensamento profondo dei fondamenti su cui si costruisce l'Unione Europea, una nuova opportunità per la nascita di un'Europa sociale, democratica e di pace.
Il risultato referendario, reso ancora più significativo dall'alta affluenza alle urne, ha visto trionfare, in realtà, una costellazione di no, in cui si intrecciano posizioni politiche anche molto distanti, quando non opposte: a pronunciarsi contro la Costituzione, in Francia, è stato un arco di forze che va dall'estrema destra nazionalista e xenofoba alla sinistra alternativa e altermondialista, passando per i socialisti, che sul tema della Costituzione europea si sono spaccati quasi in due metà esatte. Un no in cui ha pesato la sempre più forte insicurezza sociale, la paura di un futuro incerto di fronte alla crescente flessibilità del lavoro, alla concorrenza selvaggia indotta dalla presenza di manodopera a basso costo proveniente dall'est europeo, alle delocalizzazioni (il trasferimento di imprese nell'Europa dell'Est, dove il costo del lavoro è assai più basso), alla riduzione del potere d'acquisto dei lavoratori. Un no, infine, che nasce dalla lotta per una società più giusta, solidale, democratica, pacifica.
Canta vittoria Attac Francia, in prima linea nella lotta referendaria per il no, invocando la realizzazione, per il prossimo autunno, di una Convenzione delle reti Attac in Europa, in vista dell'elaborazione di una piattaforma europea comune da sottoporre a ogni governo, e dando appuntamento per un'approfondita discussione sul tema al Forum Sociale Europeo in programma ad Atene nel 2006.
Esprime soddisfazione l'Arci, secondo cui è stato bocciato un trattato costituzionale "calato dall'alto" e "intriso di liberismo", "figlio di un'Europa che nasce chiudendo le sue porte alle società della sponda sud del Mediterraneo, respinge i migranti e i richiedenti asilo, vede l'Est europeo come un territorio di conquista, pensa ad armarsi"; "figlio di una politica europea che privatizza i servizi di interesse generale e i beni comuni, che considera il lavoro come un'opportunità e non come un diritto, che si costruisce nelle stanze chiuse della burocrazia e dei ministeri". "Il voto francese - conclude l'Arci - porta allo scoperto i limiti e gli errori con cui l'unità europea si è andata finora costruendo. Si apre ora lo spazio per pensare a una Costituzione Europea che li corregga, segnando una decisa inversione di rotta verso l'Europa sociale, di pace e democratica".
E il sì alla pace e alla democrazia europea - aggiunge l'europarlamentare Vittorio Agnoletto - passa inevitabilmente per il "riconoscimento dei diritti di cittadinanza a tutti coloro che vivono e lavorano in Europa e non solo a coloro che vi sono nati" e per la "difesa di quello che fu e in parte rimane il Welfare europeo, con l'impegno di allargare al resto del mondo le garanzie in esso contenute". Da qui, secondo Agnoletto, la necessità di un "rilancio in grande stile di un processo costituente dal basso" e del "ritrovamento di una radicalità programmatica di alto profilo da parte della sinistra europea".

 

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IL NUOVO CORSO DELLA CHIESA FINLANDESE: VIA IL CONCILIO, AVANTI KIKO

32868. HELSINKI-ADISTA. Quella di Helsinki è una piccola diocesi di circa 8.000 fedeli, l'unica della Finlandia, dove i cattolici convivono con grandi comunità luterane e ortodosse di antica tradizione, nel quadro di una società progredita e altamente secolarizzata tipica del Nord Europa. Il cattolicesimo, con la Riforma, era pressoché sparito dal Paese scandinavo, per rinascere timidamente solo agli inizi del '900, quando fu ordinato a Parigi il primo sacerdote finlandese. E bisogna aspettare addirittura il 1961 per vedere l'ordinazione di un prete cattolico a Helsinki: al giorno d'oggi, sono soltanto 2 i sacerdoti di nascita finlandese.
Una comunità che, anche se piccola - meno dello 0,2% della popolazione -, aveva vissuto per lunghi anni in serenità sotto la guida di mons. Paul Verschuren, dehoniano, conducendo un fruttuoso dialogo ecumenico con le altre confessioni cristiane presenti nel Paese. La situazione è però drasticamente mutata a partire dal 2000, quando, venuto a mancare l'anziano prelato, venne nominato al suo posto mons. Józef Wróbel, anch'egli dehoniano, professore di teologia morale in Polonia. Con lui, la longa manus della normalizzazione woytjliana arrivava anche in Finlandia: l'amministrazione della diocesi veniva posta in mano all'Opus Dei, la cattedrale di S. Enrico affidata ai neocatecumenali. Marginalizzati gli unici due sacerdoti finlandesi: l'uno, Tuomo T. Vimpari, ordinato nel 1999 dallo stesso Verschuren, inviato a Roma ad approfondire gli studi; l'altro, il dehoniano Teemu Sippo, sacerdote da 30 anni, allontanato dalla chiesa cattedrale e relegato come viceparroco nella parrocchia di S. Maria a Helsinki; al suo posto, con l'incarico di vicario generale, mons. Marino Trevisini, neocatecumenale.
Il Cammino fondato da Kiko sembra aver individuato nella Finlandia una di quelle terre d'Europa dove è urgente un'opera di "nuova evangelizzazione" da parte della Chiesa, che si trova, secondo mons. Trevisini, "in una situazione di debolezza estrema": "la distruzione della famiglia ne è il segno più evidente", aggiunge. Per combatterla, il Cammino ha aperto nel 2003, con la benedizione del nuovo vescovo, un seminario "Redemptoris Mater" ad Helsinki e ha inviato "in missione" nel Paese numerosi altri presbiteri e famiglie.
Ma il caso più clamoroso del nuovo corso inaugurato da Wróbel è stato quello di p. Jan Arts, olandese, dehoniano, per oltre vent'anni amministratore apostolico della diocesi, vicario generale e braccio destro di mons. Verschuren. Inizialmente confermato nel suo incarico dal nuovo titolare, venne allontanato bruscamente dalla diocesi nel maggio del 2002. In una lettera pubblicata sulla rivista diocesana "Fides", mons. Wróbel attribuiva il provvedimento non a motivazioni "basate su cultura, nazionalità, teologia, mancanza di comprensione, mancanza di fiducia, differenze di carattere", ma "esclusivamente alla maniera con cui Padre Jan eseguiva le sue mansioni nella Diocesi". Mancanze di carattere amministrativo, quindi, di cui però il vescovo si rifiutava di fornire al pubblico ulteriori dettagli. Tuttavia, nel decreto inviato a p. Arts, esse si specificavano in una "grave e continuata inaffidabilità nei riguardi del vescovo e dell'incarico". Un provvedimento, quello del vescovo, che a molti fedeli - immediatamente solidali con il sacerdote - è sembrato una "punizione" per le "idee liberali" del sacerdote, da inquadrare in un più generale intento di imporre una linea morale e teologica 'rigorosa', in contrapposizione a quella dialogante ed ecumenica del suo predecessore: testimonianza ne è stata, ad esempio, l'assenza quasi totale della Chiesa cattolica alla settimana di preghiera per l'ecumenismo, all'inizio di quell'anno.
P. Arts, che viveva in Finlandia da 40 anni ed aveva preso la cittadinanza finlandese, si è appellato ai superiori del suo ordine e alla Santa Sede, senza però ricevere risposte significative, e la situazione non è migliorata nemmeno con l'arrivo del nuovo nunzio apostolico per la Scandinavia, mons Giovanni Tonucci: a tutt'oggi p. Arts può entrare in Finlandia solo come privato cittadino, senza poter esercitare la funzione ministeriale. La vicenda ha ricevuto anche l'attenzione del "Suomen Kuvalehti" (una delle più prestigiose riviste finlandesi) e ha spinto numerosi fedeli ad abbandonare la Chiesa: il vescovo - che in 5 anni di permanenza nel Paese non ha ancora imparato la lingua - rivendica un numero dei cattolici in crescita ma si tratta, fanno notare fonti locali, di cattolici "di importazione", filippini, vietnamiti, iracheni rifugiati.
L'accusa di "disgregazione della Chiesa", lanciata da mons. Wróbel contro Arts, "è stata causata direttamente dagli interventi del vescovo", sostiene il sacerdote in un memoriale difensivo. A Helsinki, augurandosi un ritorno di p. Arts che sembra ormai improbabile, sono in molti a rimpiangere il "senso ecumenico, la carità pastorale, le scelte apostoliche e lo spirito evangelico" di mons. Verschuren, "uomo di dialogo e di grandi orizzonti", "bella figura di figlio del Concilio Vaticano II", come lo ricordava p. Virginio Bressanelli, superiore generale della Congregazione del Sacro Cuore di Gesù (i dehoniani) all'indomani della sua morte.
 

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FUORITEMPIO
Omelie

Giovanni Vannucci

I DISCEPOLI
Anno A- 26 giugno 2005– XXIII Domenica del Tempo Ordinario
(2Re 4,8-11.14-16 Sal 88 Rm 6,3-4.8-11 Mt 10,37-42)

 

Tre cose vengono richieste a chi vuol seguire Gesù Cristo: un amore più grande di quello che naturalmente si porta ai genitori e ai figli; l'assunzione della propria croce; il dono della propria vita (cfr. Mt 10, 37-42).
L'evangelista Luca riproduce il testo più forte: "Se chi vuol seguirmi non odia il padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli e le sorelle e anche la sua vita, non potrà essere mio díscepolo" (Lc 14, 26). Parole dure, ma vanno intese nella prospettiva che Cristo ci dischiude: il raggiungimento di Dio, il divenire figli di Dio, meta assoluta che non può esser raggiunta se non da un fermo desiderio di allontanarsi da tutto ciò che non è l'Intemporale, per vivere in comunione con l'Io divino che è in ogni uomo, in una partecipazione vitale alla realtà di tutti gli esseri esistenti nel tempo.
Nel versetto trentaquattro del capitolo 10 di Matteo Gesù dice: "Non crediate che sia venuto a portare la pace sulla terra, ma la spada". La pace non è l'inerzia, la vita del discepolo di Cristo è combattimento continuo contro se stesso e contro tutti i legami della carne e del sangue, contro le catene dell'egoismo. Egli rinnova la vita, ma la rinnova nell'urto coraggioso, nel coraggioso andare contro corrente.
Certo da quest'angolatura l'insegnamento di Cristo è asociale. La società, in quanto tale, non interessa a Cristo; ogni uomo è solo e deve portare se stesso al Padre. Società indica compromesso, legami, impedimento al raggiungimento del fine supremo che è la perfetta rinuncia, che è in ultima analisi la morte dell'uomo vecchio, dell'uomo nato dalla carne e dal sangue; dell'uomo separato, separante e causa di divisione. L'insegnamento di Cristo non concepisce un ordinamento sociale, basato sulla carne e sul sangue, che rende gli uomini ostili tra di loro, concepisce l'ordinamento sociale basato sulla motivazione della divina paternità, per cui, non la carne e il sangue, ma la carità, e il misterioso amore divino, uniscono i cuori e le coscienze in un'aspirazione comune.
Chi amerà il padre, la madre, i figli più del Cristo, non potrà uscire dal cerchio del sangue né adire alla divina figliolanza. Questa trasformazione dei nostri piccoli amori nell'amore universale dei figli di Dio costituisce la croce sulla quale giorno per giorno il discepolo dovrà salire per morirvi. I presupposti della nuova coscienza che nasce con Cristo rendono necessarie la rottura dei vincoli carnali e la sostanziale mutazione del ritmo naturale dei nostri legami affettivi. Il padre e la madre sono il passato, i figli sono il futuro; ma per il figlio di Dio non esiste passato o futuro, non esistono ricordi o speranze, ma un eterno presente, una realtà immanente e partecipe a tutto il mistero divino caratterizzano la coscienza cristiana.
Il Padre che è nei cieli rende fratelli i figli che sono sopra la terra. Non esiste il ricco o il povero, il colto o l'ignorante, il buono o il cattivo, il libero o lo schiavo: esiste l'Uomo ed esso è il figlio del Padre.
Certamente tutto ciò travolge ogni cosa, rinnova ogni cosa. Sono infranti i vincoli della corruzione, vengono spezzati i legami della separatívità, distrutti i limiti dell'odio, aperti i campi infiniti dell'amore. Nella morte della carne, si assiste al prodigio della nascita dello spirito; tutto ciò non può avvenire senza lotta e senza strazio.
Logico quindi che Cristo sia venuto a portare la spada, logico che Egli sia geloso del possesso assoluto del discepolo, logico che il discepolo che vuol seguirlo porti, come Lui, la croce. Cristo dona se stesso, non trattiene egoisticamente la sua vita, la dà; Egli si dona e prende, si distrugge nel dono di sé e crea, come il pane che vien mangiato, si distrugge e aliinenta la vita. Egli ama e vuole essere amato, esigenza assoluta di vita e di bellezza, più dei padre e della madre, più dei figli, oltre la carne e il sangue, nello spirito; assoluto nell'Assoluto, eterno nell'Eterno.
Nella nuova coscienza di Cristo, nel riconoscimento del Padre comune, nella religiosità del Figlio, la separatività scompare, gli uomini svaniscono, solo l'Uomo resta, i famigliari hanno la loro ragione d'essere nella separatività, non nella coscienza di essere tutti figli di un solo Padre. Il cristiano che rinnegherà la tradizione avita, che rifiuterà di sacrificare alle apparenze, che, cercando la verità suprema, rivelerà l'inganno delle menzogne dei sensi e dei sentimenti, della personalità singola e della personalità collettiva, verrà considerato un pessimo membro della famiglia. Questa è la spada che Cristo ha portato, e insieme la croce su cui deve salire chi vuol essere suo discepolo.
Nonostante questo al cristiano è richiesta una virtù più che umana. Il cristiano è colui che ascolta la parola di Dio e la mette in pratica; è colui che non è da più del maestro, ma è perfetto come il Padre che è nei cieli, che "manda la pioggia e fa spuntare il sole sul giusto e sul peccatore". L'amore che trova nella coscienza nuova di Cristo è un amore pieno e libero; ama, non perché è amato ma perché l'amore è la natura stessa di Dio; chi ama secondo la carne e il sangue non fa nulla di diverso dalle altre creature; chi ama nella nuova coscienza di Cristo, ama come il Padre sa amare. Nel discepolo quindi è richiesta una forza d'animo serena e ferma, che costituisce una vera investitura di generosità.


(Da: Giovanni Vannucci, Il Risveglio della coscienza, già Edizioni Cens, ora Servitium Città aperta edizioni srl / Associazione Emmaus via Conte Ruggero, 73 - 94018 Troina (En) tel. 0935.653530 - Fax 0935.650234; e-mail: s.egidio@servitium.it; internet: www.servitium.it)
 

 

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