Lettera aperta al cardinal Ruini
Eminenza,
"È in linea con l'etica cristiana (del Vangelo) l'invito a non andare
a votare per far fallire il referendum?"
Mettiamo in chiaro anzittutto i termini della questione:
1. È molto importante che la Gerarchia (cattolica) inviti -
soprattutto in questioni critiche e delicate - i fedeli ad agire:
a) secondo coscienza;
b) secondo l'etica cristiana (del Vangelo).
Non è la stessa cosa coscien-za ed etica.
Un esempio: se un cristiano è, in coscienza, convinto che non può
accettare per es. l'aborto come soluzione a gravi problemi di una
donna incinta, costui non può - in coscienza - favorire o aiutare una
donna ad abortire (= scelta di coscienza).
- Invece un cristiano, personalmente convinto co-me sopra, proprio
perché cristiano, si ritiene impegnato a fare in modo che chi non la
pensa come lui/lei possa avere la possibilità, anche legale, di poter
fare la sua scelta (dell'aborto) con tutti gli aiuti e assistenza del
caso. Questa è una scelta etica secondo il Vangelo, perché rispetta le
scelte del "suo prossimo".
2. Perché, per un cristiano, la "scelta etica (secondo il Van-gelo") è
cosi' diversa da quella "secondo coscienza"?
Detto in soldoni: perché "la scelta secondo coscienza" è
individuale/personale, senza riferimenti alla società e alla comunità
in cui vive. Qui l'individuale viene prima del sociale/comunitario e
decide lui.
- Invece "la scelta etica" met-te alla base del proprio agire, cioè in
primo piano, la di-mensione comunitaria, socia-le: il bene degli
altri, soprat-tutto dei più deboli, senza rinunciare alle proprie
per-sonali convinzioni morali.
3. Ma cosa dice, esattamente, l'etica cristiana basata sul Vangelo?
Dice che il primo Comandamento per il creden-te in Cristo è l'amore al
prossimo, cioè il "fare il bene degli altri", del prossimo. Significa
rispettare le loro scelte e fare in modo che essi ("gli altri"),
soprattutto se non cristiani, o comunque coloro che la pensano in modo
diverso, possano vivere e agire nella nostra società secondo la loro
coscienza, non imponendo la nostra! "Pros-simo" e "pluralismo" sono
due facce complementari della stessa medaglia.
4. Proviamo ad applicare questi principi alla questione del referendum
della "fecon-dazione medicalmente assisti-ta", oggetto del referendum
del prossimo giugno.
a) Se un credente (cristiano) segue la sua coscienza ogni scelta che
fa è ineccepibile dal suo punto di vista individuale;
b) Se un credente (cristiano) che dice di seguire i dettami etici del
Vangelo e vuole quindi rispettare ("amare") le scelte del suo prossimo
(che non si sente tutelato dall'at-tuale legge n. 40/2004), votasse
"no" (o se si aste-nesse per motivi di coscienza) non sarebbe coerente
con il comandamento dell'amore al prossimo. Pare che solo se vota "sì"
al referendum ri-spetti le esigenze profonde del suo prossimo (che -
ripeto - non si sente tutelato dalla legge 40). Qui le preferenze
morali personali del votante passano in secondo piano.
c) Se un ecclesiastico (più o meno alto in graduatoria) invita i
fedeli cristiani a votare "secondo coscienza", invita - praticamente -
a fare una scelta personale/individuale, che non tiene conto del
co-mandamento etico "comu-nitario". Il male minore!
d) Se un ecclesiastico invita i fedeli cristiani a votare secondo i
dettami dell'etica del Vangelo, fa un invito di carattere comunitario,
plu-ralista, di "amore al prossi-mo" e agisce nell'ambito del suo
ministero.
e) Se, infine, ci fosse, malau-guratamente, un ecclesiastico che
invita i fedeli cristiani ad astenersi dal voto, perché vuol far
fallire il referendum, compie in atto polit-ico/propagandistico, che
va contro la sua missione di "pastore" e di "ministro del Vangelo",
scendendo sul piano della lotta politica. Questa scelta non è secondo
l'etica cristiana del Vangelo come spiegato sopra alle lettere (b),
(c), (d).
P.S. Non credo che Lei, card. Ruini, abbia fatto una dichiarazione di
astensione come quella ipotizata al n. 4 sotto la lettera (e). Deve
trat-tarsi di una errata e pericolosa interpretazione delle Sue
pa-role da parte di qualche poli-tico senza troppi scrupoli per
l'etica cristiana del Vangelo. La prego, quindi, di voler chiaramente
smentire. Grazie in anticipo!
Antonio Dal Bianco
(curatore dell'edizione italiana del "Manuale di etica teologica", 4
voll., di Marciano Vidal, Cittadella Editrice, Assisi, 1994-1997).
Il mio piccolo gesto democratico
Spett.le Adista
Ho ricevuto mercoledi 1 giugno la lettera del Vicario Gene-rale Mons.
Palletti alle ore 19.
Risponderò al più presto a questa missiva molto scarna e fredda.
Ribadirò la mia posizione, che non è stata altro che evi-denziare il
valore morale e civile del voto, essenza della democrazia.
Invitavo i cattolici ad essere fieri dei loro principi evangelici,
affrontando il confronto refe-rendario.
Senza arroganza, ripeterò che compirò questo piccolo gesto
democratico, andando a votare.
Se questa mia azione sarà con-figurata grave disobbedienza al
Magistero, senza erigermi a vittima accetterò, con sem-plicità, i
"provvedimenti cano-nici" del caso.
don Andrea Gallo
San Benedetto al Porto, Genova
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32858. GENOVA-ADISTA. Non è piaciuta all'arcidiocesi di Genova
la partecipazione di don Andrea Gallo alla tribuna politica
referendaria (su RaiTre, lo scorso 30 maggio) a sostegno della libertà
di coscienza sui referendum del prossimo 12-13 giugno: mons. Luigi
Palletti, vicario generale dell'arcidiocesi di Genova, retta dal
card. Tarcisio Bertone, ha scritto una lettera al sacerdote,
divulgando poi un comunicato stampa, in cui lo rimprovera e lo
"richiama a fare chiarezza", a "smentire" e a "rettificare
pubblicamente" le sue affermazioni, minacciando "i provvedimenti
canonici del caso" nei suoi confronti.
Don Gallo aveva preso parte alla tribuna politica (insieme a lui
c'erano un rappresenante della Lega Nord, uno dell'Udc e una esponente
del Comitato per il Sì) 'ospitato' dalla Lista Pannella, che aveva
ceduto il suo spazio ai firmatari dell'appello "per il rispetto della
sacralità della coscienza" promosso da Adista e sottoscritto, ad oggi,
da oltre mille tra sacerdoti, suore, religiosi e laici cattolici. E in
trasmissione, dopo aver correttamente spiegato che non si trovava lì
in rappresentanza della Lista Pannella ma in qualità di firmatario del
documento di Adista, aveva rivendicato la libertà di coscienza dei
cattolici contro le imposizioni provenienti dalla Cei, senza entrare
nel merito dei singoli quesiti e senza fornire alcun suggerimento di
voto, contrariamente alla precisa indicazione di "non voto" del
card. Camillo Ruini. Opinione interpretata dall'arcivescovo di
Genova come disobbedienza al Magistero della Chiesa.
L'arcidiocesi, nel comunicato stampa, stigmatizza anche la
partecipazione di don Gallo "ad una pubblica manifestazione nel
territorio della diocesi di Reggio Emilia", in cui il sacerdote
sarebbe stato "pubblicamente contestato a causa delle sue
affermazioni". Sull'episodio fa chiarezza la stessa associazione
promotrice dell'incontro (a cui ha preso parte anche il prof.
Emilio Arisi, primario del reparto Ostetricia e Ginecologia
dell'ospedale regionale di Trento), il Comitato di Rio Saliceto per il
Sì al referendum sulla procreazione assistita: "È doveroso precisare
che l'iniziativa si è svolta nella pluralità delle idee, avendo dato
grande spazio a chi, durante la serata, ha ritenuto di evidenziare
differenti opinioni. Ciò a dimostrazione di come il Comitato per il Sì
di Rio Saliceto sia propenso all'ascolto. Pratica ignorata da altri.
Ci corre l'obbligo, nel rispetto della verità, precisare che,
nell'occasione, il sacerdote don Gallo si è limitato ad esprimere il
valore morale e civile del voto come essenza della democrazia,
invitando i cittadini, sia laici che cattolici, ad andare a votare il
12 e il 13 giugno. Questa affermazione ha disturbato quanti sostengono
la posizione delle gerarchie ecclesiastiche". Prosegue il comunicato:
"Rimaniamo convinti che l'importanza della serata, con la presenza in
paese di don Gallo e il rumore stesso che ha destato questa presenza,
sia stata positiva nell'ascoltare altre ragioni e altrettanto utile a
confermare la giustezza delle nostre tesi. Non comprendiamo lo
scandalo gridato da chi, in quella stessa sede, ha potuto liberamente
esprimere le sue diverse convinzioni".
Di seguito pubblichiamo il comunicato dell'arcidiocesi di Genova che
rende noto il contenuto della lettera inviata a don Gallo, la risposta
del sacerdote e una lettera aperta di "un gruppo di credenti e non
credenti della Comunità di San Bebedetto al Porto" (il sacerdote ha
anche scritto una breve lettera ad Adista pubblicata nelle lettere
"fuorisacco" in questo stesso numero).
torna ai titoli
Le affermazioni, così come in questi
giorni riportate dai mezzi di comunicazione, e attribuite al Sac.
Andrea Gallo, circa temi inerenti alla tutela della procreazione e
della vita umana e dell'obbedienza al Magistero della Chiesa, come
pure precedenti esternazioni irriguardose sul compianto Giovanni Paolo
II e sul nuovo Papa Benedetto XVI, hanno suscitato non poco sconcerto
tra i fedeli.
Inoltre, alcuni giorni fa, invitato a prendere parte ad una pubblica
manifestazione, nel territorio della diocesi di Reggio Emilia, detto
sacerdote è stato anche pubblicamente contestato a causa delle sue
affermazioni.
Tenuto conto della responsabilità che ogni sacerdote ha di garantire
che il proprio insegnamento sia sempre conforme alla dottrina della
Chiesa, e considerata la gravità delle affermazioni apparse sulla
stampa, con lettera a lui personalmente inviata, si richiama il Sac.
Andrea Gallo a fare chiarezza su quanto attribuitogli smentendo le
notizie apparse e rettificando pubblicamente, anche a mezzo stampa, le
affermazioni da lui eventualmente pronunciate o a lui erroneamente
attribuite.
Considerato che detto sacerdote non è nuovo ad atteggiamenti di questo
genere ma anzi è già stato richiamato per posizioni da lui assunte, se
quanto sopra richiesto non avverrà prontamente nei prossimi giorni,
l'Autorità Ecclesiastica si vedrà costretta a prendere i provvedimenti
canonici del caso. Genova, 1 giugno 2005
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Genova, 3 giugno 2005
Eccellenza Reverendissima,
Le dirò francamente che avrei preferito una lettera del Cardinale, mio
Vescovo e mio Padre. Speravo, come vecchio, un incontro all'insegna
della Carità e della correzione fraterna. Dico questo, non certo per
mancanza di rispetto alla Sua Persona di Vescovo e Vicario generale, "alter
ego" dell'Ordinario.
Rispondo alla Sua lettera dell'1 giugno u.s. con serenità, per nulla
preoccupato dei fraintendimenti, delle false interpretazioni, delle
accuse generiche, di cosiddette ester-nazioni "irriguardose" e
soprattutto non mi sfiorano i provvedimenti freddamente da Lei
annunciati. Conosciamo molto bene, se vogliamo essere onesti, lo
"sconcerto" di certi fedeli, sempre fautori di chiusure e non di
"dialogo" aperto e sincero.
Mi dispiace dover ricordarLe, ad onor del vero, che l'Arcivescovo non
mi ha mai "richiamato" in merito ad analoghe posizioni, da me assunte
nello specifico del referendum. Dopo la Sua sollecitazione,
Eccellenza, cercherò pertanto di "fare chiarezza".
Con responsabilità presbiterale ho seguito con atten-zione l'evolversi
della situazione referendaria. Dopo l'approvazione "blindata" della
Legge 40/2004 era logico attendersi l'insurrezione laica. Ho
riflettuto molto sui Documenti del vertice della Cei (sono abbonato
all'Os-servatore Romano).
Dopo la decisione di puntare tutto sull'astensione da parte dei
Vescovi, ho cominciato da marzo a meditare, pregare e riflettere. Mi
sono consultato con religiosi, religiose, con tante sorelle e fratelli
cristiani, con giuristi e, per amore alla Chiesa, ho cercato di
portare il mio con-tributo per evitare confusioni, steccati, muri
contro muri, sempre alla luce del sole.
Non ho mai sostenuto il "Comitato del Sì" e tanto meno la Lista
Pannella. Ho sempre agito libero ed indipendente. A Rio Saliceto
(Reggio Emilia) c'è stato un dibattito in piazza, aperto a tutti gli
interventi. Quale contestazione? L'incontro è terminato tra gli
applausi della stragrande maggioranza.
Inoltre ho sempre rispettato le ragioni del No. Non si può negare che
la "proposta" dell'astensione, così difesa dai Vescovi, non abbia
procurato "disagio" profondo anche nella vasta comunità dei credenti e
tra numerosi non credenti che guardano alla Chiesa con gioiosa
speranza.
Ho sempre difeso, con forza, la legittimità e il dovere pastorale
della Cei di esprimersi su temi così delicati, inerenti la tutela
della procreazione e della vita umana. Come portavoce di tanti
cristiani ho tentato, consapevole della mia pochezza, di parlare con
la mia Chiesa, pro-ponendo un comportamento d'ardimentosa chiarezza. I
cattolici, dicevo, accettino con fierezza il confronto re-ferendario.
Gridavo: mettiamo in campo le nostre idee, i nostri principi, forti
delle indicazioni del Magistero, tastiamo il polso alla società. Il
cristiano non fugge dalla storia, dalla "polis", dalla città
degli uomini. Riapriamo il dialogo nelle nostre Chiese, chiedevo
sommessamente, attorno al Vescovo, vicino alla Croce.
Recentemente ho sempre ricordato la prima omelia di Benedetto XVI
nella Cappella Sistina, dove è stato ripreso il valore del Concilio
Vaticano II. Il Concilio del dialogo, dell'apertura al mondo e alla
sua laicità. Il Concilio della "Gaudium et Spes". Non commettiamo
l'errore, ripetevo, di schierarci dietro le sicure "barriere" della
disciplina eccle-siastica. "Non abbiate paura", dicevo col Papa.
Chiedevo ai Vescovi di distinguere tra obbedienza, acquiescenza o
servi-lismo. Non m'importava di essere definito ingenuo, provocatore,
scandaloso. Come presbitero da 46 anni, lanciavo un grido d'amore alla
Chiesa in cui credo e amo.
Non penso si voglia andare verso uno Stato teocratico. È fondamentale
pertanto rispettare la divisione dei ruoli fra la Chiesa e lo Stato
con le sue Leggi. Basterebbe citare l'articolo 98 del Testo Unico
della Legge Elettorale, completata con la numero 352 del 1970,
riguardante i referendum: "A Ministri, a prelati è vietata la
propaganda astensionista". Per sintetizzare tutti i miei modesti
inter-venti, vorrei citare la mia chiusura della trasmissione al Tg3
del 30 maggio u.s.: "Il genus della democrazia è il voto".
Penso sia nostro compito evangelizzare le coscienze. Non credo ci si
possa riuscire cercando scorciatoie, calcoli, giustificazioni. Tra
pochi giorni molti cattolici, ubbidendo all'astensione, saranno a
posto con la loro coscienza. Si sentiranno dalla parte giusta perché
hanno scelto la vita. Tutti gli altri che, con la loro coscienza,
andranno alle urne, dovranno convincersi che sono dalla parte
sbagliata? Il cardinale Tettamanzi ha affermato: "Non scomunichiamoci
a vicenda". Ponendo il problema tra chi è per la vita e chi no, si fa
della Legge (sempre mutabile) un assoluto e si rischia di trasformarla
in verità di fede. I principi evangelici, le profonde indicazioni
morali del Magistero, non cadono per un confronto elettorale.
Continuo a coltivare una visione del mondo tenera e coraggiosa e
soprattutto ho imparato a tenere nel massimo rispetto
l'autodeterminazione di tutte le persone, con la loro libertà di
coscienza. È dottrina certa. Solamente in tempi recenti la scienza
professionale ha cominciato ad interro-garsi seriamente sulla liceità
di strani comportamenti, di certe gravi manipolazioni. Auspico, dopo
questa fase, che si esca dalla contrapposizione cattolici-laici, che è
priva di senso. Mi aspetto, con tanta speranza, un incontro fecondo
tra Fede e Scienza. Tutti alla ricerca di una rigorosa
regolamentazione, di una medicina calda e umana, con rispetto e
reciproca fiducia.
Con tutta sincerità, non Le nascondo che andrò a votare in piena
coscienza e con molta sofferenza. Confortato per aver rispettato, fin
dall'inizio, gli astensionisti, senza intralciare né tanto meno
boicottare la loro massiccia propaganda in tutte le Chiese.
A questo punto, mi devo considerare uno sconfitto o un perdente?
Infine, se questa mia modestissima azione democratica sarà configurata
grave disobbedienza al Magistero, senza erigermi a vittima, accetterò
con semplicità i "provvedimenti canonici" del caso. Rispettosamente
devotissimo
don Andrea Gallo
Coordinatore della Comunità San Benedetto al Porto
torna ai titoli
Molti di noi ricordano quando il
cardinale Giuseppe Siri impose a don Andrea Gallo il silenzio in
occasione del referendum sul divorzio. Don Gallo ubbidì. Il cardinale
Siri aveva un dialogo continuo con il prete della sua diocesi. Veniva
in Comunità, anche improvvisamente, per stare con i ragazzi,
ascoltarli, condividere le loro esperienza difficili, sofferte,
violente.
Oggi il cardinale Tarcisio Bertone parla a don Andrea Gallo attraverso
gli organi di stampa. La Comunità non l'ha ancora incontrato. Eppure
la Comunità è nata e vive in una canonica.
Questa nostra nota è motivata dal desiderio che è anche un invito ad
amici e nemici, di esprimersi. È in gioco l'azione di don Andrea
Gallo, come presbitero e come educatore. La stampa potrebbe veramente
adempiere il suo primario compito di informare.
Apparteniamo al Coordinamento Comunità di Acco-glienza, fondato da
preti, che nei primi anni '80 elaborò un piccolo documento, tanto
breve quanto ricco e propositivo, Sarete liberi davvero. Lettera
sull'emarginazione: "Vivendo a contatto con le storie 'dure' delle
persone, non possiamo non essere coinvolti affettivamente e
razionalmente: Di qui le grida, le forti prese di posizione, le
ribellioni fondate e spesso doverose. Non è possibile permettere che
chi è in difficoltà aspetti ancora, quando magari l'intera vita è
stata un bisogno. All'osservazione, spesso rivoltaci, di non avere una
serena e globale visione della vita e della proposta pastorale,
ri-spondiamo che non possiamo averne. Perché serenità e globalità sono
una meta, una 'utopia', in un mondo di arrivismi e di conflittualità
mistificati. D'altronde, recente-mente, non ha forse la Conferenza
episcopale italiana suggerito alla comunità ecclesiale di ripartire
dai bisogni degli 'ultimi'"? (Sarete liberi davvero, p.12).
In questa vita di frontiera la Comunità di San Benedetto al Porto
continua a fondare la sua metodologia educativa sul riconoscere a
ciascuno le potenzialità di essere con-creatori di una prospettiva di
concordia e di pace. Dio non ha creato la morte e non gode della
rovina dei viventi. Proprio l'ascolto, la capacità di comprendere, la
solidarietà liberatrice, sono sempre stati alla base della metodologia
della nostra Co-munità, che vive sul territorio, che rispetta e si
confronta con le idee di ciascuno, che propone il cambiamento non solo
personale ma collettivo, per superare i nostri egoismi e privatismi.
Sappiamo quanto il cammino del cambiamento sia difficile e doloroso.
Richiede una coraggiosa esplorazione della vita, dove riconoscere le
nostre dipendenze suscitate da un codice di precetti e divieti che
impone conformismi, certezze inossidabili, dove si è impediti di
liberare verità profonde, dove separare gli elementi oscuri da quelli
luminosi, dove scoprire la parte migliore di noi stessi per riprendere
in mano la propria vita consapevoli di ciò che si pensa, si fa, si
vuole.
Tutta l'azione di don Andrea Gallo è verificabile in questa attenzione
e tensione. In Comunità abbiamo imparato ad abitare le domande.
Possiamo dire che come salesiano don Gallo ha sempre seguito il metodo
preventivo di don Bosco. Senza trascurare la necessaria fermezza, il
suo impegno è quello di fortificare la Volontà nella persona per
renderla disponibile al Bene. Ha dato e continua a dare fiducia
all'intelligenza, alla sensibilità, persino a quella spiritualità,
laica o di fede, che insegna ad Amare. È quotidiano il suo invito a
combattere le stanchezze e gli scoraggiamenti, a non arren-dersi di
fronte agli ostacoli, ad accettare l'errore, poiché proprio l'errore
può illuminare la coscienza e favorire il cambiamento. In questa
azione pedagogica don Andrea non si è mai lasciato tentare
dall'ambizione di determinare il cambiamento con delle imposizioni,
dal fare cose che potessero avere un effetto persuasivo sugli altri.
La proget-tualità della sua metodologia si è sempre proposta
l'avventura di una cultura che sappia attivare le coscienze.
Gli riconosciamo l'onestà di ammettere che l'attività della coscienza
non è comunicabile. Poiché solo in un clima di coerenza è possibile
sviluppare un'energia trasformatrice che favorisca il passaggio da
condizioni di sudditanza a soggetti storici che vivono il loro tempo
con i "piedi per terra e gli occhi rivolti al Cielo".
Fin dall'inizio la Comunità ha voluto essere un laboratorio di
socializzazione e di ricerca di senso, per i credenti luogo teologico,
per tutti scuola di democrazia in una relazione di
esistenza-sofferenza delle persone con il Corpo Sociale. In questa
relazione proprio i dubbi hanno suggerito nuovi e più fecondi
percorsi. In questo contesto abbiamo maturato il concetto di laicità.
La lettera a Diogneto è sempre stata un testo con il quale
confrontarsi. Ci sconcerta sapere che ancora ci sono fedeli che fanno
pressione presso il cardinale perché sanzioni il dissidente. Chi ha
sempre condiviso con gli ultimi sofferenze, disagi, difficoltà, da
cosa e da chi dissente?
Oggi di fronte al referendum del 12 e 13 giugno abbiamo dubbi etici,
scientifici, politici. Come scegliere tra scienziati eccellenti che
esprimono il Sì da quelli che esprimono il No? Come capire tra gli
arrivismi e competitività partitiche? Ma i dubbi non possono essere
stroncati dai divieti. Rimaniamo perplessi di fronte all'appello di un
cardinale che non rimane nei limiti di consigli e suggerimenti, ma si
esprime, oltre il dovuto senso della misura, con la minaccia di
provvedimenti. Molto più pastorale, sarebbe a nostro avviso, se il
cardinale ordinasse a don Andrea Gallo il silenzio; don Andrea
ubbidirà al suo pastore, come ha sempre ubbidito. È sconfinato l'Amore
di don Andrea alla sua Chiesa.
In ultimo desideriamo invitare ad una riflessione. In questo dibattito
sono sorti dei profeti che vogliono farsi legislatori e dei
legislatori che si spacciano profeti. Ci troviamo così tra falsi
profeti e tiranni. Come laici e credenti della Comunità San Benedetto
al Porto, noi speriamo che si torni a legislatori laici e ragionevoli,
che i profeti si liberino dalla tentazione di imporre con la legge e i
tribunali il loro Messaggio, per tornare ad avere fiducia nell'ascolto
e nella coscienza!
Genova, 3 giugno 2005
Un gruppo di credenti e non credenti della Comunità di San Benedetto
al Porto
torna ai titoli
32859. ROMA-ADISTA. L'"indicazione",
data dal card. Ruini ai cattolici, di non andare a votare ai
referendum del 12 e 13 giugno sta incontrando un'opposizione sempre
più ferma e sempre più ampia. Difficile dare conto di tutti gli
appelli e documenti in cui si argomenta, al contrario, la necessità di
recarsi alle urne. Uno di questi proviene addirittura dall'interno di
un'associazione laicale - le Acli - che ha fatto propria la scelta
dell'astensione. Ci riferiamo alle Acli-Germania che invitano "gli
italiani di Germania" alla partecipazione "nello spirito del Concilio
Vaticano II". Brevissimo il testo che si può leggere qui sotto. Ad
esso fa seguito un appello di ex dirigenti delle Acli, che porta in
calce una trentina di firme (fra di essi Geo Brenna, Franco
Passuello, Fausto Tortora, Giuseppe Reburdo,
Emilio Gabaglio).
Dall'ambiente universitario giunge poi un testo, "Da cattolici, contro
l'astensione dalla scelta", che definisce "poco limpida",
"contraddittoria" e "inopportuna" l'indicazione della Cei. Fra i
sottoscrittori del documento (lo riportiamo dopo quelli di ambiente
Acli) si trovano storici della Chiesa come Franco Bolgiani e
p. Achille Erba, filosofi come Claudio Ciancio e Ugo
Perrone, storici come Gian Giacomo Migone e Gian Carlo
Jocteau (firmatario anche dell'appello pubblicato sul n.
38/05 di Adista), giuristi come Franco Balosso e Gustavo
Zagrebelsky.
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Comunicato delle Acli Germania sui referendum del
12/13 giugno
Il referendum sull'abrogazione di alcune
disposizioni della legge n. 40 del 19 febbraio 2004 sulla procreazione
medicalmente assistita chiamerà ad esprimersi anche i cittadini
italiani residenti all'estero iscritti nelle liste elettorali.
Le Acli Germania, nello spirito del Concilio Vaticano II che nel
riconoscere il ruolo e l'autonomia del popolo di Dio invitava donne e
uomini a confrontarsi senza barriere ideologiche con "i segni dei
tempi", invitano gli italiani di Germania a fare uso del proprio voto.
Vita, pace, libertà e democrazia sono, infatti, tutti valori
irrinunciabili per la nostra associazione. Visto che nella nostra
realtà d'emigrazione l'informa-zione sui quesiti referendari è stata,
finora, molto scarsa, invitiamo gli elettori ad informarsi e a recarsi
alle urne in piena coscienza, nella convinzione che ogni appuntamento
elettorale rappresenti un momento fondamentale della vita democratica.
Le Acli Germania sono orgogliose della propria autonomia, conquistata
a caro prezzo, e messa in pratica, nel corso degli anni, anche
attraverso l'assunzione di posizioni scomode sulle questioni di
maggiore importanza nella vita sociale e politica.
La nostra autonomia si esercita nella capacità di elaborare proposte
forti e di segno inequivocabile, che rappresentano un elemento di
discussione anche fra le stesse forze sociali e politiche cui le Acli
si sentono più affini.
Un'associazione cristiana come la nostra non può che rivendicare,
quindi, la propria autonomia dalla politica. E, tuttavia, è necessario
precisare che autonomia non è sinonimo di neutralità, bensì di scelta
consapevole. La disponibilità al confronto e alla collaborazione deve
andare al di là delle appartenenze religiose: non è "l'attestato" di
credenti che rende comuni gli obiettivi. Oggi i cristiani sono
presenti in tutte le formazioni politiche, hanno interiorizzato il
principio della laicità della politica e delle istituzioni, non si
pongono più il problema di fare causa comune in quanto credenti, ma
svolgono piuttosto un ruolo determinante di elaborazione e di proposta
al fianco delle persone di cui condividono gli obiettivi.
Partecipare alla vita politica, a partire dall'esercizio del diritto
di voto, è, per noi democratici e cristiani, uno degli impegni più
importanti.
La presidenza Acli Germania
torna ai titoli
NOI, EX DIRIGENTI E MILITANTI DELLE ACLI INVITIAMO
AD ANDARE A VOTARE
Siamo "nati" alla vita civile e sociale
nelle Acli. Molti di noi hanno avuto responsabilità rilevanti
nell'Associazione.
Siamo stati conquistati e motivati, giovanissimi, da un sistema di
valori che aveva i suoi cardini nella partecipazione alla vita della
comunità e nell'autonoma assunzione di responsabilità dei laici
cristiani nelle concrete scelte sociali e politiche (Costituzione
conciliare "Gaudium et spes", n. 75). Ci ha motivato l'idea che fosse
bene spendere le nostre vite occupandoci anche "degli altri" e non
solo di noi stessi. Una convinzione che ha segnato la nostra
formazione e che ci ha accompagnato in tutto il nostro percorso
personale e politico.
Per questi motivi, l'indicazione della Conferenza Episcopale Italiana,
fatta propria dalle Acli, di astenersi dal voto nel referendum sulla
procreazione assistita, ci ha particolarmente stupito e amareggiato.
Siamo stati abituati a pensare ad una Chiesa e a dei laici cristiani
che si battono per promuovere i propri valori in una società
pluralista, senza nascondersi dietro escamotages umilianti.
Ci hanno spiegato che l'astensione è legittima, ed in effetti non è
questo in discussione; ma dubitiamo che essa sia la scelta giusta dal
punto di vista etico e civile. Oltretutto, ci sembra un pessimo
messaggio per le nuove generazioni, di cui si lamenta spesso il
disinteresse per la cosa pubblica. Ci dicono che l'astensione non è
disimpegno e fuga, ma essa non permette certo di distinguersi da
coloro che non vanno a votare per apatia e disinteresse per la
comunità.
Noi riteniamo che i Vescovi abbiano il dovere di richiamare i principi
della dottrina cristiana, ma rivendichiamo ai singoli cristiani il
diritto, nel rispetto della laicità dello Stato, di compiere le scelte
che essi, in coscienza, ritengono meglio corrispondere, in un
determinato momento, alle esigenze della convivenza civile.
Pur avendo, nel merito dei quesiti referendari, posizioni diverse, noi
andremo a votare.
Andrea Amato, Pier Paolo Benedetti, Pinuccia Bertone, Gianna Bitto,
Mariangela Bogliaccino, Geo Brenna, Francesco Calmarini, Anna
Ciaperoni, Maria Coscia, Giovanna Cumino, Tom Dealessandri, Francesco
De Falchi, Dolores Deidda, Antonietta De Santis, Costanza Fanelli,
Marta Farinati, Toni Ferigo, Maria Filippi, Emilio Gabaglio, Maria
Gallo, Renzo Innocenti, Lorenzo Loporcaro, Lucia Magnano, Anna Maria
Marlia, Franco Passuello, Antonio Picchi, Carlo Pignocco, Sandra
Ramadori, Giuseppe Reburdo, Lorenzo Scheggi Merlini, PierGiuseppe
Sozzi, Fausto Tortora.
torna ai titoli
Appello di docenti universitari
I referendum su alcuni articoli della legge 40, che regolamenta la
fecondazione assistita, mettono in gioco questioni importanti e di
difficilissima soluzione, che dividono i cittadini al di là delle
appartenenze politiche e confessionali e ancor più generano incertezza
e confusione. Dubbi e orientamenti diversi definiscono la posizione
dei firmatari del seguente appello, che sono tuttavia accomunati dalle
seguenti convinzioni:
La legge 40 contiene lacune e contraddizioni in se stessa e rispetto
ad altre leggi.
I referendum che si terranno il 12 giugno hanno il merito di sollevare
i gravi problemi che stanno al di sotto della legge in discussione e
di aprire un dibattito pubblico molto utile non solo in vista delle
scelte referendarie ma più in generale riguardo ai problemi giuridici,
scientifici, etici e religiosi che quelle scelte implicano.
Per questa ragione siamo contrari all'indicazione di non andare a
votare. Questa indicazione è anche poco limpida, perché tende a
utilizzare e a fomentare il disinteresse per le questioni in gioco
sommandolo alla scelta contraria alle richieste dei referendum, tende
a svilire l'istituto dei referendum e tende a favorire un
atteggiamento di irresponsabilità. Inoltre, essa risulta
contraddittoria rispetto al carattere di principio che si assegna alle
argomentazioni usate per giustificarla. Se la scelta di non votare può
essere plausibile rispetto a questioni di scarso rilievo, lo stesso
non si può dire rispetto a temi che mettono in gioco principi di
fondamentale importanza, quali la vita, la salute, la ricerca
scientifica e i suoi limiti.
L'appello alla non partecipazione al voto, che è giunto dai vertici
della Cei, è perciò inopportuno e, in particolare ai credenti, appare
come un'incomprensibile e ingiustificata pretesa della gerarchia
ecclesiastica di dettare norme che riguardano non i principi e gli
orientamenti di fondo ma il dettaglio e le tecniche dei comportamenti
politici.
Pur consapevoli della difficoltà delle scelte e forse
dell'insuperabilità di alcuni dubbi, invitiamo perciò tutti, credenti
e non credenti, a maturare una scelta meditata e ad esprimerla con il
voto.
Franco Balosso, Fiorella e Luciano Bassignana, Toni Begani, Franco
Bolgiani, Cristina e Giuseppe Bordello, Stefano Brusasco, Melita
Cataldi, Claudio Ciancio, Renata e Franco Camoletto, Piero Degennaro,
Stefania Di Terlizzi, padre Achille Erba, Carla Fantino, Elisabetta
Galeotti, Marzio Galeotti, Giovanna Gambarotta, Eugenio Gili,
Antonietta Guadagnino, Gianna Guelpa, Gian Carlo Jocteau, Dora
Marucco, Gian Giacomo Migone, Mario Mosca, Laura Operti, Gabriella
Orefice, Maurizio Pagano, Anna Pelloso, Ugo Perone, Franco Peyretti,
Narinella Poggi, Katie Roggero, Mario Rosa, Ugo Gianni Rosenberg,
Luciana Ruatta, Stefano Sciuto, Adriana Stancati, Angela Suppo, Gino
Tedone, Domenico Todisco, Paolo Torreri, Rosanna Tos, Alberto
Tridente, Federico Vercellone, Anna Viacava, Gustavo Zagrebelsky.
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32860. ROMA-ADISTA. Fulvio Ferrario,
Daniele Garrone, Ermanno Genre, Martin Hirzel e
Yann Redalié, professori della Facoltà Valdese di
Teologia di Roma, hanno reso noto, il 3 giugno scorso, un documento in
cui prendono posizione sulla necessità di andare a votare agli
imminenti referendum sulla procreazione assistita. "Il sì, il no, o la
scheda bianca depositati nell'urna sono diventati del tutto secondari,
ciò che è decisivo è invece chi va o non va a votare", scrivono.
Proprio per questo, "è doveroso andare a votare". Di seguito il testo
da loro sottoscritto.
Impegnati da tempo nel dialogo ecumenico
ed interreligioso ci sembra importante dire con franchezza perché non
possiamo accogliere il pressante invito della Cei, rivolto certo in
primis ai cattolici, ma anche a tutti i cristiani e a tutti i
cittadini di questo paese, a non andare a votare i 4 referendum
relativi alla legge 40/2004 sulla fecondazione assistita, il 12 e 13
giugno 2005.
Sulla materia oggetto dei quesiti referendari la nostra Chiesa non ha
assunto alcuna posizione ufficiale, certo non sono mancate
significative prese di posizione a favore dei referendum abrogativi,
ma le posizioni non sono unanimi (si veda il dossier del
settimanale Riforma del 27.05.05). Come in altre simili
occasioni, per la formazione della propria convinzione si è preferito
privilegiare un dibattito largo e approfondito e un libero confronto
su argomenti così essenziali e delicati.
Su un punto però riteniamo doveroso intervenire, cioè sulla decisione
libera e personale presa in coscienza da ciascuno, cardine
dell'espressione democratica, che nei nostri sistemi elettorali viene
garantita dalla segretezza del voto. Qui non è in discussione la
legittimità dell'astensione o del non voto; invitare all'astensione è
pienamente legittimo dal punto di vista della legge. La questione di
fondo è però un'altra: essa concerne l'esercizio della libertà di
esprimere la propria personale opinione.
La campagna che si è sviluppata nelle ultime settimane da parte della
Cei, sia attraverso i media sia attraverso una mobilitazione capillare
nelle parrocchie, ha spostato il luogo della decisione fuori dalla
cabina di voto. Infatti, se il significato del non voto rimane ambiguo
- può essere motivato dall'indifferenza totale oppure dalla
convinzione più forte -, l'andare a votare, atto palese, pubblico e
non garantito dal segreto, si carica di un significato chiaro di
disubbidienza all'autorità ecclesiastica (o almeno di non raccogliere
l'invito pressante della gerarchia cattolica).
Il sì, il no, o la scheda bianca depositati nell'urna sono diventati
del tutto secondari, ciò che è decisivo è invece chi va o non va a
votare. E questa situazione in un paese dove la presenza della Chiesa
cattolica è capillare, e tante persone ne dipendono per il loro lavoro
quotidiano, rappresenta una pressione notevole, tale da poter
provocare autocensura.
Dialogare in un libero e leale confronto ideale, convincere e farsi
convincere, e lasciare poi la piena libertà di espressione della
propria convinzione: tale è l'invito che vorremmo rivolgere a tutti
quelli che hanno una posizione da fare valere nel dibattito. Anche per
questo motivo fondamentale, per noi è doveroso andare a votare sui
quesiti referendari il 12 e 13 giugno".
Roma, 3 giugno 2005
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32861. ROMA-ADISTA. Nel suo discorso
rivolto ai vescovi italiani la mattina del 30 maggio, dopo l'apertura
in Vaticano della 54.ma assemblea generale della Cei, Benedetto XVI
non ha fatto mancare il suo sostegno alla linea del card. Ruini,
anzi si è talmente esposto nel suo discorso da pronunciare a braccio
frasi che poi la sala Stampa della Santa Sede, nel diffonderne la
versione ufficiale (bollettino del 30/5), non ha riportato. Frasi che
hanno peraltro sollevato rumorosi applausi, come testimonia
chiaramente la cronaca radiofonica di Radio Vaticana (Radiogiornale
delle 14,30). Per esempio, laddove Ratzinger si congratula con i
vescovi per il loro impegno "in merito alla legge sulla procreazione
assistita", dice che "proprio nella sua chiarezza e concretezza" esso
"è segno della sollecitudine di veri pastori buoni" (corsivo
redazionale), i quali però, nel documento ufficiale, perdono i loro
attributi di "veri" e "buoni" per diventare più asetticamente
"pastori". Subito dopo il papa aggiunge: "vi sono vicino con la parola
e con la preghiera, confidando nella luce e nella grazia dello Spirito
che agisce nelle coscienze e nei cuori. E qui non lavoriamo per
interessi cattolici, ma sempre per l'uomo, Creatura di Dio"
(corsivo redazionale) - altra frase introvabile nel documento
ufficiale, anch'essa seguita da "applausi". Il tutto in perfetta
consonanza con la Prolusione del card. Ruini all'apertura della 54.ma
Assemblea generale della Cei (Roma. 30-31 maggio, un'assemblea lampo,
di soli due giorni rispetto ai cinque tradizionali).
"Non ci muovono interessi di parte, fosse pure la parte cattolica",
dichiara il presidente della Cei, dopo aver ribadito che la linea
dell'astensione non è una "scelta di disimpegno" ma l'unica valida per
impedire il raggiungimento del quorum: "Non entriamo in competizioni
di partiti, ci preoccupiamo unicamente, e concretamente, di quella
difesa e promozione dell'uomo che è parte integrante dell'annuncio del
Vangelo", assicura il cardinale, anche se poi nella sua prolusione
parla di "orientare" , "spingere in una certa direzione" ecc.
Questa terminologia, spiega sul Corriere della Sera (1/06) un
teologo che lavora per la Cei, rientra nella categoria delle
indicazioni "prudenziali", le quali non esprimono un "obbligo" ma
conciliano elementi dottrinali con valutazioni pratiche.
Lo stesso tipo di prudenza usata, ad assemblea conclusa, da mons.
Giuseppe Betori (che Ruini ha appena riconfermato nel suo incarico
di segretario della Cei) nel commentare la decisione di quei
cattolici, in vistoso aumento, che annunciano di andare a votare
sentendosi legittimati dalle stesse parole del papa, che, in un
passaggio del suo discorso, aveva elogiato i vescovi "impegnati a
illuminare le scelte dei cattolici", come se in tal modo affermasse la
possibilità di più scelte. "Siamo perplessi - ha detto Betori - di
fronte a chi pensa che le parole del papa siano di sostegno ai
vescovi, ma contemporaneamente permettano di disattendere le
indicazioni dei vescovi. Qui ci fermiamo - ha però aggiunto - e non
esprimiamo nessun giudizio". Un'altra indicazione prudenziale,
appunto.
Di seguito i passaggi riservati sulla procreazione assistita nei
discorsi del pontefice e del presidente della Cei.
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"(...). Una questione nevralgica, che
richiede la nostra più grande attenzione pastorale, è quella della
famiglia. In Italia, ancor più che in altri Paesi, la famiglia
rappresenta davvero la cellula fondamentale della società, è
profondamente radicata nel cuore delle giovani generazioni e si fa
carico di molteplici problemi, offrendo sostegno e rimedio a
situazioni altrimenti disperate. E tuttavia anche in Italia la
famiglia è esposta, nell'attuale clima culturale, a molti rischi e
minacce che tutti conosciamo. Alla fragilità e instabilità interna di
molte unioni coniugali si assomma infatti la tendenza, diffusa nella
società e nella cultura, a contestare il carattere unico e la missione
propria della famiglia fondata sul matrimonio. Proprio l'Italia poi è
una della nazioni in cui la scarsità delle nascite è più grave e
persistente, con conseguenze già pesanti sull'intero corpo sociale.
Perciò da molto tempo voi Vescovi italiani avete unito la vostra voce
a quella di Giovanni Paolo II, anzitutto nel difendere la sacralità
della vita umana e il valore dell' istituto matrimoniale, ma anche nel
promuovere il ruolo della famiglia nella Chiesa e nella società,
chiedendo misure economiche e legislative che sostengano le giovani
famiglie nella generazione ed educazione dei figli. Nel medesimo
spirito siete attualmente impegnati a illuminare e motivare le scelte
dei cattolici e di tutti i cittadini circa i referendum ormai
imminenti in merito alla legge sulla procreazione assistita: proprio
nella sua chiarezza e concretezza questo vostro impegno è segno della
sollecitudine dei Pastori per ogni essere umano, che non può mai
venire ridotto a un mezzo, ma è sempre un fine, come ci insegna il
nostro Signore Gesù Cristo nel suo Vangelo e come ci dice la stessa
ragione umana. In tale impegno, e in tutta l'opera molteplice che fa
parte della missione e del dovere dei Pastori, vi sono vicino con la
parola e con la preghiera, confidando nella luce e nella grazia dello
Spirito che agisce nelle coscienze e nei cuori.
La stessa sollecitudine per il vero bene dell'uomo che ci spinge a
prenderci cura delle sorti delle famiglie e del rispetto della vita
umana si esprime nell'attenzione ai poveri che abbiamo tra noi, agli
ammalati, agli immigrati, ai popoli decimati dalle malattie, dalle
guerre e dalla fame. Cari fratelli Vescovi italiani, desidero
ringraziare voi e i vostri fedeli per la larghezza della vostra
carità, che contribuisce a rendere concretamente la Chiesa quel popolo
nuovo nel quale nessuno è straniero. Ricordiamoci sempre delle parole
del Signore: quello che avete fatto "a uno solo di questi miei
fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" (Mt 25, 40). (...)".
torna ai titoli
"(...) È ormai molto vicino il referendum
riguardante la procreazione assistita. La nostra posizione in merito è
nota ed è quella indicata anche dal Comitato "Scienza & Vita": siamo
cioè per una consapevole non partecipazione al voto, che ha il
significato di un doppio no, ai contenuti dei quesiti sottoposti a
referendum, che peggiorano irrimediabilmente e svuotano la legge,
riaprendo in larga misura la porta a pericolosi vuoti normativi, e
all'uso dello strumento referendario in una materia tanto complessa e
delicata. Non si tratta dunque in alcun modo di una scelta di
disimpegno, ma al contrario di opporsi in maniera netta ed efficace a
una logica che - a prescindere dalle intenzioni dei suoi sostenitori -
mette in pericolo i fondamenti umani e morali della nostra civiltà.
Il dibattito che si è sviluppato in queste settimane ha avuto il
merito di evidenziare che in concreto l'unica via per opporsi
effettivamente al peggioramento della legge è quella della non
partecipazione al voto, mentre il votare no, dato che contribuisce al
raggiungimento del quorum, di fatto è un aiuto, sia pur involontario,
ai sostenitori del referendum.
Non rinunciamo a sperare in un dibattito che non eluda troppo
marcatamente la vera posta in gioco e in un'informa-zione che
rappresenti in maniera sufficientemente equilibrata le posizioni che
sono davvero in campo.
Osiamo inoltre chiedere a tutti di valutare con serenità anche le
ragioni di noi Pastori. Non ci muovono interessi di parte, fosse pure
la parte cattolica. Non entriamo in competizioni di partiti, ma ci
preoccupiamo unicamente, e concretamente, di quella difesa e
promozione dell'uomo che è parte integrante dell'annuncio del Vangelo.
Non siamo contro la scienza e i suoi progressi: al contrario,
ammiriamo e sosteniamo i frutti della ricerca e dell'intelligenza, che
è il segno dell'immagine di Dio nell'uomo. Vogliamo dunque che la
scienza sia al servizio del bene integrale dell'uomo: non si tratta,
pertanto, di arrestare od ostacolare il cammino della scienza, ma di
orientarlo in modo che esso non perda di vista il valore e la dignità
di ogni essere umano. Spingono in questa direzione non soltanto
fondamentali ragioni etiche, ma anche un evidente principio di
precauzione, che deve trovare applicazione anzitutto quando si agisce
direttamente sulla vita umana. Solo così si avranno sicuri vantaggi, e
non pericoli, anche per la nostra salute. Ci muove dunque non
l'indifferenza o l'insensibilità, ma l'amore sincero per ogni donna e
ogni uomo.
Le notizie, che giungono a intervalli sempre più ravvicinati, di
sperimentazioni condotte sugli embrioni a prescindere dal loro
carattere umano, confermano la necessità di norme che regolino questa
materia in rapido sviluppo: senza di esse arriveremo, probabilmente
prima del previsto, a risultati che suscitano orrore e paura. Esistono
invece alternative precise, come quelle basate sulle cellule staminali
ottenute senza sopprimere embrioni, che hanno già dato, a differenza
dalle altre, risultati clinici concreti: al loro ulteriore sviluppo
proprio la ricerca italiana, se adeguatamente sostenuta, può oggi
fortemente contribuire.
Sono di buon auspicio, in un simile contesto, sia la grande
consapevolezza, unità e impegno di cui stanno dando prova i cattolici
italiani, in sintonia con un orientamento che è della Chiesa
universale, sia il moltiplicarsi di voci autorevoli, delle più diverse
competenze e matrici culturali, che si esprimono con chiarezza e forza
argomentativa per il rispetto della vita umana e del diritto dei figli
a conoscere i propri genitori. Queste voci interpretano certamente il
sentire profondo di tanti italiani.
A tutti, anche a coloro che contestano più duramente le nostre
posizioni e il nostro stesso diritto e dovere di esprimerci in questa
materia, vorremmo dire che non ci può essere un futuro positivo e
accettabile se si perde l'unità di misura della vita umana. Siamo
dunque certi, con il nostro attuale impegno, di non essere dei
sorpassati, ma di far parte invece di coloro che lavorano per il
futuro. (...)".
torna ai titoli
32862. ROMA-ADISTA. "Dov'è finito il
cattolico disobbediente?", si chiede Gad Lerner dalle colonne
di Repubblica (3/6), mettendo a confornto il dissenso cattolico che si
mobilitò a favore del divorzio nel 1974 con la reazione dei cattolici
di fronte alla posizione assunta dalla Conferenza episcopale italiana
sui referendum del 12 e 13 giugno. "Sulla indicazione di boicottaggio
del referendum - sostiene Lerner - dalla galassia cattolica italiana
non giunge certo l'eco di discussioni appassionate, prevalendo semmai
una disciplina frammista a un diffuso torpore. Imbarazzante diviene
così il paragone col tumultuoso, appassionato dibattito che scuoteva
le associazioni cattoliche e le parrocchie in quel fatidico 1974.
Altro che la calma piatta nelle Acli, nella Cisl, nell'Azione
Cattolica del 2005!".
Altri tempi, racconta Lerner: quelli, scrive, delle 92 firme in calce
all'appello rivolto ai democratici di fede cristiana, sottoscritto dai
grandi esponenti del cattolicesimo democratico che "vent'anni dopo
avrebbero progettato l'esperienza politica dell'Ulivo". E questo senza
che i "dissenzienti" potessero trovare sponde dentro la Dc, poiché la
sinistra democristiana aveva "fornito unanime i suoi voti, nella
direzione di piazza del Gesù, alla temeraria crociata di Fanfani".
Accanto a quell'appello, fiorirono anche "prese di posizione dei
cristiani più impegnati sul fronte del lavoro e della giustizia
sociale": dirigenti della Cisl e aclisti come Emilio Gabaglio
che, ricorda Lerner, scriveva di aver imparato, da cristiano, che "la
fede non si impone, ma si testimonia".
Rispetto a quei tempi, domanda Lerner, "qualcuno riesce a immaginarsi
prese di posizione altrettanto vigorose dentro la Cisl di Savino
Pezzotta o dentro le Acli di Luigi Bobba? Beato chi si accontenta di
rispondere: meglio così, vuol dire che oggi i cattolici italiani sono
compatti, tranne poche eccezioni, sulla linea del cardinale Camillo
Ruini". Del resto, continua il giornalista dell'"Infedele", se "le
liste di sacerdoti che andranno a votare pubblicate dall'agenzia
Adista risultano striminzite", allo stesso modo, però, "neppure si
potrà sostenere che nelle parrocchie si mobiliti una campagna
appassionata per l'astensione".
Insomma, quello che abbiamo davanti è un panorama ecclesiale
"cloroformizzato" che dovrebbe indurre anche Ruini "ad evocare con
rimpianto la realtà effervescente del 1974". Al processo di
secolarizzazione della società, alla riduzione del numero delle
parrocchie e delle diocesi, si accompagna per Lerner una crisi di
vitalità del cattolicesimo italiano. A partire dalle associazioni
storiche del laicato cattolico, "pacificate in superficie", ma nel
fondo, "anche molto più vuote". Così, conclude il giornalista,
"trentuno anni dopo sarà pure tornato il tempo dell'obbedienza", ma
"appare un tempo più sordo, un tempo di sconfitta spirituale".
Chiamata in causa direttamente nell'articolo di Lerner, la redazione
di Adista ha risposto con alcune considerazioni inviando a "la
Repubblica" ("Lettere" ad Augias) la lettera che pubblichiamo
di seguito *.
Sollecitati dall'articolo di Lerner del 2
giugno ("Dov'è finito il cattolico disobbediente"), le inviamo qui di
seguito l'appello promosso da Adista contro l'equiparazione compiuta
dalla Cei tra "cattolici coerenti con la loro fede" e cattolici
'astensionisti'.
Ma soprattutto la invitiamo a leggere tra le righe di oltre 1.000
firme che a prima vista le potrebbero risultare 'anonime', eccezion
fatta per qualche nome noto che pure vi troverà. Sono sacerdoti,
suore, religiosi e religiose, teologi e teologhe, nonché laici
cattolici che spesso provengono da esperienze associative importanti
come Azione Cattolica, Fuci, Agesci, Acli: è quella parte di mondo
cattolico che ancora si spende per riaffermare il proprio diritto a
pensare, ad argomentare nell'agone pubblico, ad avere una coscienza
critica non omologabile in un'appartenenza, e a votare infine al
referendum in modo conseguente a questa stessa libertà di coscienza. È
quella parte di mondo cattolico che soprattutto si ribella a quel
corto circuito che fa di una fede immediatamente un'etica, poi un
diritto, poi una religione civile e ora addirittura una tattica
elettorale.
Questo mondo cattolico sente, innanzitutto, e poi anche considera la
fede una ulteriorità che si pone a garanzia della libertà
dell'esistenza umana contro ogni 'vitello d'oro', ulteriorità che
interroga l'etica e il diritto, e che solo attraverso la laicità può
interagire con la politica.
Certo, non ci sono i leader attuali del laicato cattolico in questa
lista di firme, e sarà pure vero che il numero di sacerdoti risulta
"striminzito", come dice Lerner.
Vorremmo però ricordare due semplici fatti: 1) per ogni sacerdote che
firma bisogna considerare che è un sacerdote che sfida provvedimenti
quali quello piovuto addosso a don Gallo solo per aver firmato e poi
difeso l'appello stesso in Tv (nella lettera inviatagli, l'arcivescovo
di Genova lo minaccia praticamente di sospensione a divinis, v.
numero di Adista in uscita); 2) risultano firmatari solo gli aderenti
e i quadri locali delle organizzazioni cattoliche, semplicemente
perché da esattamente 20 anni, ovvero dopo la defe-nestrazione nell'85
del cardinale Ballestrero, sostituito alla guida della Cei prima dal
più 'affidabile' card. Poletti e poi dall' 'affidabilissimo' card.
Ruini, il laicato cattolico italiano è stato sistematicamente
'resettato' ai vertici per essere funzionale all'obbedienza
tout-court, soprattutto nelle 'grandi occasioni'; così come non è un
caso che tra i firmatari risultino ex dirigenti nazionali formatisi
appunto alla scuola della laicità del dopo Concilio.
Ciò non giustifica l'acquiescenza supina, nelle dichiarazioni
ufficiali, di associazioni cattoliche che pure formano al proprio
interno al discernimento critico (di qui la condotta diversa degli
aderenti disseminati nelle diocesi italiane), ma nell'analisi occorre
tenere conto del fatto che nella Chiesa cattolica la gerarchia non è
un optional, e che il modo di intendere e di gestire la
gerarchia sortisce due Chiese diverse, due diverse anime del mondo
cattolico: quella conciliare o quella clericale. Solo che a forza di
obbedire - non per scelta, come dice Cesana, ma per consuetudine o per
prudenza se non per timore - è venuta meno la passione argomentativa,
la voglia di dialogo, la tensione spirituale. Perché confrontarsi con
gli altri, con i diversi da me, se la 'fede' mi fornisce subito una
linea di condotta? A che serve la laicità della mediazione politica?
E l'indifferenza regna sovrana: in fondo astensione è più di una
tattica, ormai è un logo della Chiesa italiana.
Le chiediamo perciò, caro Augias, di dare voce a questa parte del
mondo cattolico, non solo perché si mobilita contro l'astensione ad un
referendum, ma anche perché con questa mobilitazione riafferma la
propria volontà di uno Stato laico, dove i punti nodali della vita
comune possano essere regolati da un processo condiviso, sia pur
conflittuale a volte sui singoli contenuti.
Grazie per l'attenzione
la redazione di Adista
* Questa lettera è stata inviata anche a Gad Lerner
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32863. ROMA-ADISTA. Chi è che oggi, in
Italia, ricorre alla fecondazione assistita, circoscritta nei limiti
della legge 40? Alla vigilia del voto referendario, se lo chiede
un'indagine condotta da tre associazioni di pazienti analizzando le
schede di 500 coppie pervenute da 5 centri medici distribuiti in tutta
Italia. E la risposta può sorprendere solo chi è ormai lontanissimo
dalle esigenze e condizioni reali delle coppie che vogliono avere
figli: il 70% delle coppie (336 su 500) che ricorrono alla
procreazione medicalmente assistita (Pma) si dichiara credente, di
queste ben 291 (il 58%) frequenta in qualche misura la Chiesa e quelle
che praticano regolarmente sono 47 (il 9,5%).
Si tratta di un dato che non deve stupire, secondo Filomena Gallo,
cattolica e praticante, nonché presidente dell'associazione "Amica
Cicogna", tra le promotrici della ricerca insieme a "Cerco un bimbo" e
al sito
www.unbambino.it: "è proprio in coloro che hanno una visione
tradizionale della famiglia e che pensano al momento procreativo come
momento centrale della vita matrimoniale che la filiazione biologica
assume un'importanza fondamentale e dà senso alla vita di coppia".
Un'altra testimonianza dello "scollamento delle gerarchie
ecclesiastiche dalla vita quotidiana dei fedeli", commenta Federica
Casadei, presidente di "Cerco un bimbo". Scollamento che non
avviene però in maniera del tutto indolore: se il 68% delle coppie non
ha avvertito un vero e proprio "conflitto" al momento di dover
ricorrere alla Pma, questo è il caso però per il 19% delle coppie e
per 20 di queste esso è stato "molto forte".
I timori di carattere etico-religioso però non mancano: il 20% delle
coppie intervistate vive nell'incertezza se l'embrione sia 'vita' già
dal primo istante; il 9,5% teme di infrangere un divieto di carattere
religioso e il 7,2% addirittura di "sostituirsi alla divinità". Ma
sono importanti anche i timori 'laici' di chi ha paura di vedere
violata la propria privacy (30%) e di quanti (un altro 30%) si
interrogano sulla correttezza del "forzare la natura" per avere un
figlio a tutti i costi. Segno di scelte che non vengono compiute in
maniera irresponsabile, all'insegna del tanto citato Far West,
ma testimonianza allo stesso tempo di una tenace difesa della libertà
delle proprie coscienze. Tuttavia si registrano ancora, soprattutto
tra i cattolici, dubbi e resistenze, dovuti, secondo Angelo
Gabriele Ajello di unbambino.it, a quella che viene percepita come
una vera e propria aggressione da parte delle campagne
antireferendarie che per queste coppie diventa un vero e proprio
linciaggio morale.
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32864. ROMA-ADISTA. Alla fine, come era ampiamente previsto (v.
Adista n. 35/05), alla presidenza nazionale dell'Azione Cattolica è
stato designato Luigi Alici. Il Consiglio permanente della
Conferenza Episcopale Italiana, riunitosi nel pomeriggio del 31 maggio
per esaminare la terna di candidati proposta dal Consiglio Nazionale
di Ac (oltre ad Alici, c'erano Ernesto Preziosi e Franco
Miano), ha optato per colui che da tempo veniva ormai considerato
una sorta di presidente in pectore, ed era comunque il
candidato che aveva ottenuto il maggior numero di consensi per la
successione di Paola Bignardi.
Alici, 55 anni, docente di filosofia morale all'Università di
Macerata, è un dirigente stimato dentro l'associazione, rimasto però
sempre piuttosto defilato sui temi che hanno infiammato il dibattito
interno all'Ac degli ultimi mesi (anche se non viene considerato tra i
supporter della linea espressa dalla presidenza uscente). Per la Cei
Alici era probabilmente, tra i nomi della terna, il candidato che
offriva maggiori garanzie: in virtù della sua prudenza, del fatto che,
insieme alla Bignardi e a Preziosi, aveva aderito tra i primi al
Comitato "Scienza e Vita" per l'astensione ai referendum sulla
procreazione assistita, ma anche dei tanti incarichi ecclesiali già
ricoperti su designazione della Cei. Alici è infatti membro del Gruppo
di lavoro del Progetto culturale promosso dalla Chiesa Italiana, del
Comitato scientifico-organizzatore delle Settimane sociali dei
Cattolici italiani e di quello che sta preparando il IV Convegno della
Chiesa Italiana che si svolgerà a Verona (Alici ha già partecipato
all'organizzazione del Convegno di Palermo del 1995).
Gli auguro che l'esperienza che inizia oggi "possa trasformarsi per
lui ogni giorno in una bella avventura di fraternità, di creatività,
di dedizione vissuta insieme", ha detto la presidente uscente Paola
Bignardi passando le consegne al suo successore.
"Accolgo la designazione del consiglio nazionale e la chiamata dei
vescovi a presiedere l'Azione Cattolica Italiana nel segno della
gratitudine, della speranza e della corresponsabilità", ha detto Alici
subito dopo aver ricevuto la notizia della sua elezione. Alici ha
quindi definito l'Ac "immersa ma non sommersa nel mondo", "rispettosa
della legittima autonomia delle realtà terrene", e ne ha individuato
il compito nel "continuare a levare alta e libera la sua voce in
difesa dei valori irrinunciabili della vita, della persona, della pace
e del bene comune, sanciti anche dalla nostra Carta costituzionale, e
ad immettere nel tessuto vivo della società italiana benefici fermenti
di fraternità virtuosa".
torna ai titoli
32865. ROMA-ADISTA. Un milione di
firme per bloccare la "controriforma" della Costituzione; il 2 giugno,
festa della Repubblica, trasformato in "Giornata per la Costituzione
Italiana"; un enorme drappo colorato, formato da pezzi di stoffa
firmati dai cittadini e cuciti insieme, come metafora dell'appello a
"ricucire la Costituzione". Con queste iniziative Cittadinanzattiva e
la Tavola della Solidarietà presentano la nuova campagna
"Ricuciamola!" - a cui ha aderito anche Magistratura Democratica - in
difesa della Costituzione italiana, "figlia della Liberazione e dello
spirito unitario dell'Assemblea costituente".
Dopo 60 anni, si legge nel comunicato, "non siamo contrari per
principio alla riforma". Ma bisogna opporsi ad "un uso della
Costituzione a fini elettorali e politici": "una Costituzione deve
trascendere i conflitti della politica partitica. Non può essere di
destra o di sinistra né diventare oggetto di scambio a fini
elettorali".
Ma, al di là del metodo, "Ricuciamola!" contesta anche i contenuti
della riforma costituzionale che il centrodestra sta portando avanti
in Parlamento a colpi di maggioranza: "L'approvazione, il 23 marzo
scorso, in terza lettura della riforma della II parte della
Costituzione ed i cambiamenti introdotti in ben 50 articoli a colpi di
maggioranza mette in pericolo le basi comuni del nostro ordinamento
democratico, mina alle radici la dimensione universalistica dei
diritti dei cittadini, incrina il principio solidaristico in base al
quale si cementa una comunità, mette a repentaglio il congegno di
contrappesi e garanzie che sono il fondamento di un buon sistema
democratico".
Devolution e premierato sono i temi che destano maggiori
preoccupazion: la prima, spiegava Teresa Petrangolini,
segretario generale di Cittadinanzattiva, in un'intervista ad
"Avvenire" dello scorso ottobre, "mette a rischio i diritti dei
cittadini, quelli alla salute e all'istruzione, minacciati da un
'federalismo spinto'" mentre la "partecipazione attiva e democratica"
dei cittadini è "messa all'angolo da un 'premierato forte'".
Per tutelare e rafforzare il "tessuto costituzionale", invece, i
promotori della campagna invocano una riforma che porti ad un
"ampliamento degli spazi democratici", elaborata magari da una
Assemblea costituente, "realmente rappresentativa di tutte le voci che
animano la vita democratica di un Paese", piuttosto che da un gruppo
di esperti. È necessario che le garanzie, i principi e i diritti
sanciti nella prima parte della nostra Carta siano riaffermati con
forza e siano previsti "criteri di incompatibilità tra ruoli di
governo a tutti i livelli territoriali, e posizioni dominanti nel
settore economico e, in particolare, dell'informazione".
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32866. ROMA-ADISTA. Per chi ritiene
che la Banca Mondiale e l'Organizzazione Mondiale del Commercio siano
istituzioni non riformabili, le nomine alla guida dei due organismi di
Paul Wolfowitz e Pascal Lamy rappresentano la ciliegina
sulla torta. Il "superfalco" Paul Wolfowitz, già viceministro della
Difesa Usa e strenuo difensore degli interessi nordamericani, ha
assunto la guida della Banca Mondiale il primo giugno, subentrando a
James Wolfenson, considerato invece un uomo aperto al dialogo
(sia con i difensori che con i detrattori della globalizzazione, con
governi e con ong) e più attento ai temi della lotta alla povertà e
della salvaguardia ambientale: un'attenzione che si è concretizzata,
durante la sua gestione, in una riduzione dei finanziamenti alle
grandi opere di infrastruttura, come le dighe.
Appena insediatosi alla presidenza della Banca Mondiale, Wolfowitz ha
mostrato di avere le idee chiare, aprendo alla possibilità di rivedere
le modalità di prestito ai Paesi emergenti, primi fra tutti Cina e
India, e sostenendo la necessità di rivolgere nuovamente l'attenzione
al settore, ben più redditizio, delle infrastrutture. "La storia ci
insegna - afferma Antonio Tricarico, coordinatore della
Campagna per la riforma della Banca Mondiale - che l'amministrazione
Usa si è ricordata della Banca Mondiale quando ne aveva bisogno per i
suoi propri interessi, non certo per quelli dei poveri del mondo". E
oggi l'interesse è quello di "avere voce in capitolo nella crescita
delle nuove potenze del Sud, a partire dalla tanto temuta Cina". Di
fatto, ha concluso Tricarico, "un Wolfowitz che negozia con le potenze
emergenti del Sud del mondo fa preconizzare una nuova Yalta economica,
in un momento di preoccupazione per gli indicatori economici
squilibrati dell'economia americana. I poveri del mondo c'entrano ben
poco in questa storia, che potrebbe risolversi nel perpetuare lo
stesso fallimentare modello di sviluppo che abbiamo conosciuto negli
ultimi decenni. Che l'Europa si svegli per non essere connivente,
prima di essere marginalizzata anche nelle istituzioni di Bretton
Woods".
Sul fronte dell'Organizzazione Mondiale del Commercio (Wto), l'Europa
è, però, ben più che connivente, come mostra l'operato del
neodirettore generale dell'organismo, l'ex commissario europeo al
Commercio Pascal Lamy. Come si legge in un comunicato di Tradewatch,
l'Osservatorio sul commercio internazionale, Lamy è "il principale
responsabile del fallimento dei negoziati" al vertice di Cancun, nel
settembre del 2003, per la sua completa chiusura rispetto alle
richieste del Sud del mondo: "Lamy è lo stesso che diceva di non voler
aprire il mercato europeo dell'acqua e della fornitura dei servizi
idrici alla concorrenza straniera, mentre, nello stesso tempo,
chiedeva a molti dei Paesi più poveri del pianeta di aprirsi alle
multinazionali europee".
Per questo, all'ultraliberista Lamy, Tradewatch aveva opposto il suo
candidato ideale alla carica di direttore generale del Wto: il comico
Beppe Grillo, in virtù della sua "attenzione e competenza
riguardo all'ambiente, ai problemi economici e finanziari, alle
innovazioni in economia, alle politiche di consumo critico". "In un
club di ossessionati dal libero commercio - spiegava Tradewatch - c'è
bisogno di un comico per tornare ad essere seri e guardare lontano,
proteggendo l'ambiente ed i diritti fondamentali di tutti sull'unico
pianeta che abbiamo". Una candidatura che Grillo ha accettato
immediatamente, prestandosi "volentieri" a "fare da detonatore a
questa provocazione": "le mie chance di convincere Bush e Chirac", ha
scritto in una lettera aperta, "non sono altissime. Sono invece
migliori le mie chance di convincere molta gente a porsi qualche
domanda sulle cose che compra e che sono dettate dalle attuali regole
del commercio mondiale: perché dobbiamo mangiare cibi contaminati da
organismi modificati geneticamente senza avere il diritto di saperlo,
se la contaminazione è meno dello 0,9%? Perché a Genova costa meno
fare il pesto con il basilico del Vietnam che con quello ligure?
Perché nel bergamasco la polenta si fa con il mais argentino, ma
nessuno ce lo dice? Come mai un litro di petrolio costa la metà di un
litro di acqua minerale?".
Se, conclude Grillo, "chi governa il commercio mondiale ha creato una
situazione dai risvolti tragici e comici, allora anche un comico può
portare il suo contributo".
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IL NO ALLA COSTITUZIONE EUROPEA PER UN SÌ AD UNA
SOCIETÀ PIÙ SOLIDALE
32867. ROMA-ADISTA. Non un rifiuto
dell'Europa, ma un rifiuto di questa Europa, di
un'Europa-fortezza dei tecnocrati e dei mercanti, del neoliberismo,
del pensiero unico. È in questa prospettiva che il movimento
altermondialista considera una buona notizia la vittoria, in Francia e
ancora più nettamente in Olanda, del no al Trattato costituzionale
europeo: la valanga di no, si legge nei commenti, racchiude la
possibilità di un'inversione di rotta, di un ripensamento profondo dei
fondamenti su cui si costruisce l'Unione Europea, una nuova
opportunità per la nascita di un'Europa sociale, democratica e di
pace.
Il risultato referendario, reso ancora più significativo dall'alta
affluenza alle urne, ha visto trionfare, in realtà, una costellazione
di no, in cui si intrecciano posizioni politiche anche molto distanti,
quando non opposte: a pronunciarsi contro la Costituzione, in Francia,
è stato un arco di forze che va dall'estrema destra nazionalista e
xenofoba alla sinistra alternativa e altermondialista, passando per i
socialisti, che sul tema della Costituzione europea si sono spaccati
quasi in due metà esatte. Un no in cui ha pesato la sempre più forte
insicurezza sociale, la paura di un futuro incerto di fronte alla
crescente flessibilità del lavoro, alla concorrenza selvaggia indotta
dalla presenza di manodopera a basso costo proveniente dall'est
europeo, alle delocalizzazioni (il trasferimento di imprese
nell'Europa dell'Est, dove il costo del lavoro è assai più basso),
alla riduzione del potere d'acquisto dei lavoratori. Un no, infine,
che nasce dalla lotta per una società più giusta, solidale,
democratica, pacifica.
Canta vittoria Attac Francia, in prima linea nella lotta referendaria
per il no, invocando la realizzazione, per il prossimo autunno, di una
Convenzione delle reti Attac in Europa, in vista dell'elaborazione di
una piattaforma europea comune da sottoporre a ogni governo, e dando
appuntamento per un'approfondita discussione sul tema al Forum Sociale
Europeo in programma ad Atene nel 2006.
Esprime soddisfazione l'Arci, secondo cui è stato bocciato un trattato
costituzionale "calato dall'alto" e "intriso di liberismo", "figlio di
un'Europa che nasce chiudendo le sue porte alle società della sponda
sud del Mediterraneo, respinge i migranti e i richiedenti asilo, vede
l'Est europeo come un territorio di conquista, pensa ad armarsi";
"figlio di una politica europea che privatizza i servizi di interesse
generale e i beni comuni, che considera il lavoro come un'opportunità
e non come un diritto, che si costruisce nelle stanze chiuse della
burocrazia e dei ministeri". "Il voto francese - conclude l'Arci -
porta allo scoperto i limiti e gli errori con cui l'unità europea si è
andata finora costruendo. Si apre ora lo spazio per pensare a una
Costituzione Europea che li corregga, segnando una decisa inversione
di rotta verso l'Europa sociale, di pace e democratica".
E il sì alla pace e alla democrazia europea - aggiunge
l'europarlamentare Vittorio Agnoletto - passa inevitabilmente
per il "riconoscimento dei diritti di cittadinanza a tutti coloro che
vivono e lavorano in Europa e non solo a coloro che vi sono nati" e
per la "difesa di quello che fu e in parte rimane il Welfare europeo,
con l'impegno di allargare al resto del mondo le garanzie in esso
contenute". Da qui, secondo Agnoletto, la necessità di un "rilancio in
grande stile di un processo costituente dal basso" e del "ritrovamento
di una radicalità programmatica di alto profilo da parte della
sinistra europea".
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IL NUOVO CORSO DELLA CHIESA FINLANDESE: VIA IL
CONCILIO, AVANTI KIKO
32868. HELSINKI-ADISTA. Quella di
Helsinki è una piccola diocesi di circa 8.000 fedeli, l'unica della
Finlandia, dove i cattolici convivono con grandi comunità luterane e
ortodosse di antica tradizione, nel quadro di una società progredita e
altamente secolarizzata tipica del Nord Europa. Il cattolicesimo, con
la Riforma, era pressoché sparito dal Paese scandinavo, per rinascere
timidamente solo agli inizi del '900, quando fu ordinato a Parigi il
primo sacerdote finlandese. E bisogna aspettare addirittura il 1961
per vedere l'ordinazione di un prete cattolico a Helsinki: al giorno
d'oggi, sono soltanto 2 i sacerdoti di nascita finlandese.
Una comunità che, anche se piccola - meno dello 0,2% della popolazione
-, aveva vissuto per lunghi anni in serenità sotto la guida di
mons. Paul Verschuren, dehoniano, conducendo un fruttuoso dialogo
ecumenico con le altre confessioni cristiane presenti nel Paese. La
situazione è però drasticamente mutata a partire dal 2000, quando,
venuto a mancare l'anziano prelato, venne nominato al suo posto
mons. Józef Wróbel, anch'egli dehoniano, professore di teologia
morale in Polonia. Con lui, la longa manus della
normalizzazione woytjliana arrivava anche in Finlandia:
l'amministrazione della diocesi veniva posta in mano all'Opus Dei, la
cattedrale di S. Enrico affidata ai neocatecumenali. Marginalizzati
gli unici due sacerdoti finlandesi: l'uno, Tuomo T. Vimpari,
ordinato nel 1999 dallo stesso Verschuren, inviato a Roma ad
approfondire gli studi; l'altro, il dehoniano Teemu Sippo,
sacerdote da 30 anni, allontanato dalla chiesa cattedrale e relegato
come viceparroco nella parrocchia di S. Maria a Helsinki; al suo
posto, con l'incarico di vicario generale, mons. Marino Trevisini,
neocatecumenale.
Il Cammino fondato da Kiko sembra aver individuato nella
Finlandia una di quelle terre d'Europa dove è urgente un'opera di
"nuova evangelizzazione" da parte della Chiesa, che si trova, secondo
mons. Trevisini, "in una situazione di debolezza estrema": "la
distruzione della famiglia ne è il segno più evidente", aggiunge. Per
combatterla, il Cammino ha aperto nel 2003, con la benedizione del
nuovo vescovo, un seminario "Redemptoris Mater" ad Helsinki e ha
inviato "in missione" nel Paese numerosi altri presbiteri e famiglie.
Ma il caso più clamoroso del nuovo corso inaugurato da Wróbel è stato
quello di p. Jan Arts, olandese, dehoniano, per oltre vent'anni
amministratore apostolico della diocesi, vicario generale e braccio
destro di mons. Verschuren. Inizialmente confermato nel suo incarico
dal nuovo titolare, venne allontanato bruscamente dalla diocesi nel
maggio del 2002. In una lettera pubblicata sulla rivista diocesana
"Fides", mons. Wróbel attribuiva il provvedimento non a motivazioni
"basate su cultura, nazionalità, teologia, mancanza di comprensione,
mancanza di fiducia, differenze di carattere", ma "esclusivamente alla
maniera con cui Padre Jan eseguiva le sue mansioni nella Diocesi".
Mancanze di carattere amministrativo, quindi, di cui però il vescovo
si rifiutava di fornire al pubblico ulteriori dettagli. Tuttavia, nel
decreto inviato a p. Arts, esse si specificavano in una "grave e
continuata inaffidabilità nei riguardi del vescovo e dell'incarico".
Un provvedimento, quello del vescovo, che a molti fedeli -
immediatamente solidali con il sacerdote - è sembrato una "punizione"
per le "idee liberali" del sacerdote, da inquadrare in un più generale
intento di imporre una linea morale e teologica 'rigorosa', in
contrapposizione a quella dialogante ed ecumenica del suo
predecessore: testimonianza ne è stata, ad esempio, l'assenza quasi
totale della Chiesa cattolica alla settimana di preghiera per
l'ecumenismo, all'inizio di quell'anno.
P. Arts, che viveva in Finlandia da 40 anni ed aveva preso la
cittadinanza finlandese, si è appellato ai superiori del suo ordine e
alla Santa Sede, senza però ricevere risposte significative, e la
situazione non è migliorata nemmeno con l'arrivo del nuovo nunzio
apostolico per la Scandinavia, mons Giovanni Tonucci: a
tutt'oggi p. Arts può entrare in Finlandia solo come privato
cittadino, senza poter esercitare la funzione ministeriale. La vicenda
ha ricevuto anche l'attenzione del "Suomen Kuvalehti" (una delle più
prestigiose riviste finlandesi) e ha spinto numerosi fedeli ad
abbandonare la Chiesa: il vescovo - che in 5 anni di permanenza nel
Paese non ha ancora imparato la lingua - rivendica un numero dei
cattolici in crescita ma si tratta, fanno notare fonti locali, di
cattolici "di importazione", filippini, vietnamiti, iracheni
rifugiati.
L'accusa di "disgregazione della Chiesa", lanciata da mons. Wróbel
contro Arts, "è stata causata direttamente dagli interventi del
vescovo", sostiene il sacerdote in un memoriale difensivo. A Helsinki,
augurandosi un ritorno di p. Arts che sembra ormai improbabile, sono
in molti a rimpiangere il "senso ecumenico, la carità pastorale, le
scelte apostoliche e lo spirito evangelico" di mons. Verschuren, "uomo
di dialogo e di grandi orizzonti", "bella figura di figlio del
Concilio Vaticano II", come lo ricordava p. Virginio Bressanelli,
superiore generale della Congregazione del Sacro Cuore di Gesù (i
dehoniani) all'indomani della sua morte.
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Giovanni Vannucci
I DISCEPOLI
Anno A- 26 giugno 2005– XXIII Domenica del Tempo Ordinario
(2Re 4,8-11.14-16 Sal 88 Rm 6,3-4.8-11 Mt 10,37-42)
Tre cose vengono richieste a chi vuol
seguire Gesù Cristo: un amore più grande di quello che naturalmente si
porta ai genitori e ai figli; l'assunzione della propria croce; il
dono della propria vita (cfr. Mt 10, 37-42).
L'evangelista Luca riproduce il testo più forte: "Se chi vuol seguirmi
non odia il padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli e le
sorelle e anche la sua vita, non potrà essere mio díscepolo" (Lc 14,
26). Parole dure, ma vanno intese nella prospettiva che Cristo ci
dischiude: il raggiungimento di Dio, il divenire figli di Dio, meta
assoluta che non può esser raggiunta se non da un fermo desiderio di
allontanarsi da tutto ciò che non è l'Intemporale, per vivere in
comunione con l'Io divino che è in ogni uomo, in una partecipazione
vitale alla realtà di tutti gli esseri esistenti nel tempo.
Nel versetto trentaquattro del capitolo 10 di Matteo Gesù dice: "Non
crediate che sia venuto a portare la pace sulla terra, ma la spada".
La pace non è l'inerzia, la vita del discepolo di Cristo è
combattimento continuo contro se stesso e contro tutti i legami della
carne e del sangue, contro le catene dell'egoismo. Egli rinnova la
vita, ma la rinnova nell'urto coraggioso, nel coraggioso andare contro
corrente.
Certo da quest'angolatura l'insegnamento di Cristo è asociale. La
società, in quanto tale, non interessa a Cristo; ogni uomo è solo e
deve portare se stesso al Padre. Società indica compromesso, legami,
impedimento al raggiungimento del fine supremo che è la perfetta
rinuncia, che è in ultima analisi la morte dell'uomo vecchio,
dell'uomo nato dalla carne e dal sangue; dell'uomo separato, separante
e causa di divisione. L'insegnamento di Cristo non concepisce un
ordinamento sociale, basato sulla carne e sul sangue, che rende gli
uomini ostili tra di loro, concepisce l'ordinamento sociale basato
sulla motivazione della divina paternità, per cui, non la carne e il
sangue, ma la carità, e il misterioso amore divino, uniscono i cuori e
le coscienze in un'aspirazione comune.
Chi amerà il padre, la madre, i figli più del Cristo, non potrà uscire
dal cerchio del sangue né adire alla divina figliolanza. Questa
trasformazione dei nostri piccoli amori nell'amore universale dei
figli di Dio costituisce la croce sulla quale giorno per giorno il
discepolo dovrà salire per morirvi. I presupposti della nuova
coscienza che nasce con Cristo rendono necessarie la rottura dei
vincoli carnali e la sostanziale mutazione del ritmo naturale dei
nostri legami affettivi. Il padre e la madre sono il passato, i figli
sono il futuro; ma per il figlio di Dio non esiste passato o futuro,
non esistono ricordi o speranze, ma un eterno presente, una realtà
immanente e partecipe a tutto il mistero divino caratterizzano la
coscienza cristiana.
Il Padre che è nei cieli rende fratelli i figli che sono sopra la
terra. Non esiste il ricco o il povero, il colto o l'ignorante, il
buono o il cattivo, il libero o lo schiavo: esiste l'Uomo ed esso è il
figlio del Padre.
Certamente tutto ciò travolge ogni cosa, rinnova ogni cosa. Sono
infranti i vincoli della corruzione, vengono spezzati i legami della
separatívità, distrutti i limiti dell'odio, aperti i campi infiniti
dell'amore. Nella morte della carne, si assiste al prodigio della
nascita dello spirito; tutto ciò non può avvenire senza lotta e senza
strazio.
Logico quindi che Cristo sia venuto a portare la spada, logico che
Egli sia geloso del possesso assoluto del discepolo, logico che il
discepolo che vuol seguirlo porti, come Lui, la croce. Cristo dona se
stesso, non trattiene egoisticamente la sua vita, la dà; Egli si dona
e prende, si distrugge nel dono di sé e crea, come il pane che vien
mangiato, si distrugge e aliinenta la vita. Egli ama e vuole essere
amato, esigenza assoluta di vita e di bellezza, più dei padre e della
madre, più dei figli, oltre la carne e il sangue, nello spirito;
assoluto nell'Assoluto, eterno nell'Eterno.
Nella nuova coscienza di Cristo, nel riconoscimento del Padre comune,
nella religiosità del Figlio, la separatività scompare, gli uomini
svaniscono, solo l'Uomo resta, i famigliari hanno la loro ragione
d'essere nella separatività, non nella coscienza di essere tutti figli
di un solo Padre. Il cristiano che rinnegherà la tradizione avita, che
rifiuterà di sacrificare alle apparenze, che, cercando la verità
suprema, rivelerà l'inganno delle menzogne dei sensi e dei sentimenti,
della personalità singola e della personalità collettiva, verrà
considerato un pessimo membro della famiglia. Questa è la spada che
Cristo ha portato, e insieme la croce su cui deve salire chi vuol
essere suo discepolo.
Nonostante questo al cristiano è richiesta una virtù più che umana. Il
cristiano è colui che ascolta la parola di Dio e la mette in pratica;
è colui che non è da più del maestro, ma è perfetto come il Padre che
è nei cieli, che "manda la pioggia e fa spuntare il sole sul giusto e
sul peccatore". L'amore che trova nella coscienza nuova di Cristo è un
amore pieno e libero; ama, non perché è amato ma perché l'amore è la
natura stessa di Dio; chi ama secondo la carne e il sangue non fa
nulla di diverso dalle altre creature; chi ama nella nuova coscienza
di Cristo, ama come il Padre sa amare. Nel discepolo quindi è
richiesta una forza d'animo serena e ferma, che costituisce una vera
investitura di generosità.
(Da: Giovanni Vannucci, Il Risveglio della coscienza,
già Edizioni Cens, ora Servitium Città aperta edizioni srl /
Associazione Emmaus via Conte Ruggero, 73 - 94018 Troina (En) tel.
0935.653530 - Fax 0935.650234; e-mail: s.egidio@servitium.it;
internet: www.servitium.it)
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